E la guerra in Ucraina?

Gli Stati Uniti devono stanziare 100 miliardi di dollari in finanziamenti per Israele e Ucraina, devono sostenere a ogni costo questi due paesi. Questo il succo del lungo discorso alla nazione pronunciato da Biden il 20 ottobre, il tutto condito di appelli patriottici a difendere i valori americani e a fare di nuovo degli Usa il “faro del mondo”.

Ma, a parte il sarcasmo, il discorso in realtà è rivelatore. Biden è costretto a un appello tanto accorato perché evidentemente nella classe dominante Usa non c’è unità sulla linea da seguire. Se già da tempo esistevano contrasti su come continuare la guerra in Ucraina (vedi l’articolo “Il mondo è a un bivio. Guerra o rivoluzione”, sul numero 10/2023 di Resistenza), il contrattacco della resistenza palestinese del 7 ottobre e il nuovo fronte di guerra che si apre nella regione esasperano la situazione. L’intreccio di interessi, le difficoltà e le ingenti risorse che implica la contemporanea gestione di due fronti di guerra, cui si deve aggiungere un sempre più infuocato fronte interno, sono destinati ad alimentare le contraddizioni nella classe dominante Usa, a farle esplodere.

Tanto più che, se un nuovo fronte di guerra si apre, la situazione sul vecchio fronte in Ucraina è sostanzialmente di stallo e la sbandierata “controffensiva d’estate” non ha prodotto risultati apprezzabili.

Intanto la compattezza del fronte a guida Usa scricchiola. A margine del Consiglio Europeo del 26 ottobre il presidente ungherese Orban e il neo eletto presidente slovacco Figo hanno dichiarato lo stop a nuove forniture di armi e stanziamenti di fondi per l’Ucraina da parte dei loro paesi. Si aggiungono così alla Polonia (di cui avevamo parlato nell’articolo “Guerra in Ucraina. La grande mangiatoia”) Non c’è che dire: un bel segnale di unità per l’Ue e la Nato (che sull’altro fronte si trova anche a fare i conti con Erdogan, presidente di un paese membro, che ha definito pubblicamente Israele criminale di guerra e Hamas un movimento di liberazione).

Nel frattempo anche la Finlandia, dal 3 aprile scorso nuovo membro della Nato, “comincia a godere” dei benefici che derivano dall’essere partner dell’Alleanza. Il 10 ottobre il gasdotto Balticconnector, che portava il gas naturale dalla Finlandia all’Estonia e da lì in tutta Europa, è stato danneggiato. Il governo finlandese, come prevedibile, inizialmente ha accusato la Federazione Russa dell’accaduto. Dopo tre settimane di indagini, le autorità del paese scandinavo hanno però concluso che non sono stati i russi, ma i cinesi. La responsabile sarebbe infatti una nave commerciale battente bandiera di Hong Kong, la New New Polar Bear, che avrebbe prodotto il danno trascinando l’ancora sul fondale marino. Gli inquirenti affermano che “le indagini proseguono per stabilire se si sia trattato di un atto deliberato”. Di certo c’è che il gas non potrà transitare per minimo sei mesi dal gasdotto per via delle necessarie riparazioni e altri non ce ne sono.

In definitiva, nonostante le enormi risorse cui stanno dando fondo e la crescente brutalità con cui agiscono per mantenere il loro dominio sul mondo, nonostante la forza che cercano di ostentare, sono chiare le crescenti difficoltà dei gruppi imperialisti Usa, Ue e sionisti. Al loro interno crescono divisioni e contrasti, mentre si moltiplicano i paesi e i popoli che si ribellano e si sviluppa la mobilitazione delle masse popolari negli stessi paesi imperialisti. Approfittiamone!

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