In tanti mi hanno chiesto come mai un comunista partecipa e fa la lotta in un sindacato come la Cgil, che spesso non ha sostenuto i lavoratori, che quando doveva non si ĆØ opposto con fermezza alle scelte del governo e che alcune volte, anzi, sembra complice della borghesia. Io penso che la miglior risposta sia quella che ho sempre dato: ā€œUn comunista interviene ovunqueā€. (…) Al Cardarelli siamo circa 300 iscritti e siamo il quarto sindacato. La cosa importante che abbiamo notato ĆØ che molti dei lavoratori che erano iscritti alla Cgil vi si erano iscritti perchĆ© avevano un sentimento di sinistra e si sentono figli di una storia. (…) Abbiamo fallito due volte nel provare a costruire un collettivo di lavoratori, non perchĆ© i lavoratori erano arretrati, ma perchĆ© i comunisti non erano adeguati. In questo caso, il comunista arretrato ero io. In pratica abbiamo provato la prima volta a metter su un collettivo di lavoratori, perchĆ© eravamo illuminati dal Collettivo di fabbrica della Gkn. Però la realtĆ  ĆØ che abbiamo provato a fare una somma numerica di tutti quelli che conoscevamo e che lavoravano in ospedale, li abbiamo messi insieme e abbiamo agito da collettivo, ma lo abbiamo fatto senza considerare tutte le contraddizioni che si sviluppano all’interno di un’azienda. C’è da dire che ero all’inizio del mio lavoro in un ospedale e quindi agivo senza aver studiato a fondo quella realtĆ . (…) Il secondo insegnamento ĆØ che non avevamo capito bene la prima lezione. Mossi, infatti, dal desiderio di costruire un collettivo di lavoratori, abbiamo provato a costruire l’unione dei lavoratori sempre basandoci sul fatto che all’interno dell’ospedale più grande del Sud Italia c’erano tante persone che facevano parte anche di movimenti di lotta: pensavamo di poter mettere insieme tutte quelle ā€œavanguardieā€. Anche in questo caso si sono sviluppate delle contraddizioni, come la concorrenza, che nella pratica si traduce con: ā€œperchĆ© ascoltare la linea dei CARC che si fanno sempre portavoce della veritĆ  assoluta, portata persino attraverso un infermiere?ā€ Si perchĆ©, tra l’altro, alcuni erano anche medici e in alcuni casi era un problema. Una volta ĆØ successo che in una riunione decidemmo che si dovevano fare dei compitini – loro, i medici, li chiamarono compitini – che servivano per cominciare a darci un ruolo e avviare un percorso di lotta. Avevamo iniziato a fare ognuno delle cose, ciascuno aveva dei compiti da fare e da riportare nella riunione successiva. Cose non complicate: capire meglio come era composta l’Azienda o cosa diceva un determinato articolo del contratto di lavoro, fare un’analisi del Cardarelli, capire come funziona una pratica di pronta reperibilitĆ , ecc. Di tutti i presenti, però, nessuno ha fatto niente, tranne io, proprio perchĆ© tutti gli altri vedevano quei compiti come ā€œcompitiniā€ assegnati da me che ero visto come il ā€œprofessore di comunismoā€. La realtĆ  ĆØ che quei compiti non li sentivano propri, non li ritenevano utili. E questo perchĆ© non abbiamo sviscerato fino in fondo cosa voleva dire costruire un collettivo, o meglio io non sono riuscito a trasmetterglielo. Questo non ĆØ per affermare che era sbagliato il loro atteggiamento, ma per dire che alcune volte siamo noi a non fare analisi concreta della situazione concreta. Ma non ci siamo avviliti. Abbiamo compreso una cosa fondamentale: impariamo dai fallimenti. E dobbiamo valorizzare tutto, sia i fallimenti che le piccolissime vittorie. Abbiamo incominciato allora da qualcosa di più semplice: abbiamo iniziato ad aggiustare un semplice magazzino su proposta di un lavoratore stufo del disordine. Abbiamo incominciato senza pretendere di fare subito grandi cose o ragionare solo dei massimi sistemi. Abbiamo guardato al passo concreto che ogni lavoratore poteva fare; ho guardato al passo concreto di un lavoratore che mi ha detto ā€œaggiustiamo il magazzinoā€. (…) Una piccola vittoria che ha fatto sƬ che tanti altri lavoratori cominciassero a pensare che ā€œqualcosa si può fareā€. Questi lavoratori non riuscivano a concepire a cosa servisse formare un collettivo. Dicevano ā€œma io la mia organizzazione ce l’ho, ĆØ il sindacatoā€. E allora partiamo dal sindacato, ci siamo detti. ā€œIscrivetevi al sindacatoā€, gli abbiamo detto ā€œma non fatelo delegando, partecipate attivamente!ā€. Abbiamo visto come la rottura della delega al sindacato può avvenire anche semplicemente dalla scrittura di uno striscione, dal dire andiamo ad attaccare un manifesto vicino al marcatempo, ecc. (…) Per concludere. Io penso che noi dobbiamo imparare una cosa: ovunque ci sono le condizioni per costruire pezzi di socialismo, ma possiamo farlo se impariamo a vedere i passi concreti. (…) PerchĆ© ovunque, in tutti i luoghi ci si può organizzare, da una piccola azienda all’ospedale più grande del Sud Italia. Io spero che domani ci sia unione tra tutti i comitati di lavoratori d’Italia. E oggi facciamo un piccolo passo nella nostra azienda per costruire quell’unione e siamo sicuri che arriveremo a farlo, perchĆ© ĆØ una necessitĆ !

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