Anche quest’anno scolastico si è aperto con serenità. C’è bisogno di scuola, anche nei momenti più duri abbiamo usato tutti gli strumenti possibili per tenere i nostri ragazzi legati tra di loro. Come dice l’articolo 2, la solidarietà è la colla a caldo di cui abbiamo bisogno, che deve andare oltre i confini della nazione – Patrizio Bianchi, Ministro dell’Istruzione, all’inaugurazione dell’anno scolastico.
Nel mondo fatato in cui vive il ministro Bianchi, basta la solidarietà a far andare avanti la scuola pubblica. Effettivamente ci è rimasta solo questa: il sistema di istruzione si regge ormai quasi esclusivamente sulla volontà di insegnanti, studenti, personale scolastico e genitori, perché attorno a loro le istituzioni hanno creato il deserto. Un deserto fatto di docenti e personale ATA di numero insufficiente, di classi pollaio, di strutture fatiscenti e di ragazzi morti durante l’alternanza scuola-lavoro. Una realtà ben diversa dalle favole che ci racconta il ministro!
Come per la sanità, il rientro a scuola dopo due anni di Covid vede l’istruzione pubblica in una situazione peggiore a quella pre-pandemia, con problemi vecchi e nuovi.
Secondo i sindacati, l’anno è iniziato con circa 200mila insegnanti e 500 presidi in meno, oltre al buco di 15mila amministrativi e collaboratori scolastici. Tutto questo nonostante i mega-concorsi svolti negli scorsi mesi e “grazie” a un nuovo algoritmo per il reclutamento dei docenti che spesso li assegna a sedi diverse da quelle in cui per anni hanno prestato servizio (alla faccia della continuità didattica!). Per non parlare del personale ATA e tecnico assunto con i “contratti-Covid” che adesso è stato rimandato a casa. Magari in questi due anni in cui le scuole sono state praticamente chiuse, il Ministero almeno ne avrà approfittato per ristrutturarle.
Manco per idea. Ad oggi quasi il 58% degli edifici scolastici non possiede un certificato di agibilità e più del 50% delle scuole non ha un documento che attesti la prevenzione incendi (fonte: 20° rapporto di Cittadinanzattiva sulla sicurezza delle scuole). A poco servono le dichiarazioni sulla costruzione di 216 nuove scuole con i soldi del PNRR, se poi quelle che già ci sono cadono letteralmente a pezzi, con ministri e governatori che si stupiscono davanti ai crolli dei controsoffitti – quando va bene – e agli allagamenti delle classi!
In campagna elettorale tutti i partiti delle Larghe Intese si sono riempiti la bocca delle politiche per i giovani e per gli studenti, hanno creato account su TikTok per cercare di accaparrarsi i voti dei maggiorenni e imbonire i ragazzi che ancora non possono votare, salvo poi continuare a demolire la scuola pubblica e distruggere il futuro delle masse popolari. La scuola pubblica è sempre più la terra di nessuno, dove chiunque arriva fa i suoi porci comodi.
È il caso delle scuole di Roma, dove i consiglieri comunali si stanno preparando a farsi promotori dei “valori e temi del Giubileo”, in vista dell’appuntamento del 2025 (fonte: RomaToday) o quelle di Pisa, dove le palestre delle scuole vengono messe a disposizione di sedicenti associazioni sportive come la Ginnastica Dinamica Militare Italiana (fonte: PisaToday). Come se non bastasse la propaganda dell’esercito che da anni trova ampio spazio in scuole e università!
Nel frattempo è morto in una fabbrica di Portogruaro (VE) un altro ragazzo in alternanza scuola-lavoro. È il terzo, quest’anno. È questa l’attenzione per i giovani di cui si riempiono la bocca Letta e Meloni, dopo due anni di diritto allo studio negato.
Con il Global Climate Strike del 23 settembre i giovani hanno dato un segnale forte, affermando che la crisi ambientale non è avulsa dallo smantellamento della scuola pubblica, perché la matrice è la stessa ed è il sistema capitalista. Le soluzioni di emergenza per il mondo della scuola non le prenderà nessun governo delle Larghe Intese.
Ha ragione il ministro Bianchi: dobbiamo trarre forza dalla solidarietà, ma non quella che intende lui. Dobbiamo avvalerci della solidarietà che esiste tra le masse popolari, basata sull’appartenenza di classe che è la base per definire chi sono gli amici e chi sono i nemici, chi fa i nostri interessi e chi no.
Caro ministro Bianchi, dire “anche quest’anno scolastico si è aperto con serenità” ci toglie ogni dubbio rispetto a quest’ultimo punto.
Anche in università non è “andato tutto bene”
“Si vax, no vax a noi non interessa, contro il Green pass questa è la protesta” è il coro che questo autunno urlavamo nelle piazze noi studenti contro il Green pass, poiché avevamo capito da subito che il problema non era il vaccino in sé, ma il Green pass come strumento politico.
Quando utilizzo la parola strumento politico intendo un mezzo che veicola, implicitamente nel suo uso pratico, dei meccanismi di potere e di narrazione. Spiegandomi meglio, il Green pass diffonde l’idea che dopo la somministrazione del vaccino contro il Covid-19 si sia immuni dalla malattia e dalle sue complicanze e che la vaccinazione sia l’unica arma contro il virus; che da una parte ci siano i cittadini vaccinati, bravi e altruisti, e dall’altra quelli cattivi ed egoisti che il vaccino non l’hanno fatto; ma, soprattutto, che i cittadini cattivi dopo una vigile sorveglianza debbano essere puniti attraverso lo strumento del Green pass e con la propaganda che li dipinge come il nemico interno.
Ritengo difatti che una delle chiavi di lettura di questi avvenimenti possa essere riconducibile alle tesi esplicitate nel libro di Michel Foucault Sorvegliare e punire: il concetto fondamentale è che con nuove pratiche introdotte con destrezza e gradualità in momenti di emergenza si possono produrre delle soggettività passive pronte inconsciamente ad obbedire. Perciò bisogna analizzare il Green pass in tale ottica ossia come mezzo finalizzato all’obbedienza e bisogna essere preparati all’idea che possa subentrare un altro strumento coercitivo che porti al disciplinamento della maggioranza della massa e alla colpevolizzazione di un gruppo minoritario usato come capro espiatorio. Inoltre questo fenomeno rientra in un processo di smantellamento di diritti sociali al lavoro, allo studio, alla sanità pubblica e alla socialità: potevi entrare sul posto di lavoro, in università e in tanti luoghi pubblici solo se avevi il lasciapassare.
Essendo una studentessa di Filosofia dell’Università Statale di Milano, vorrei esporre come il Green pass nell’ambito universitario sia stato un acceleratore di una politica più ampia fondata sulla sorveglianza e sulla punizione, volta allo sgretolamento del diritto effettivo allo studio.
Da questo settembre 2022 si torna nelle aule sì senza Green pass, ma solo se si è riusciti a prenotarsi sull’App lezioniUnimi. Dunque, spesso se sei seduto per terra ad ascoltare la lezione sei invitato a uscire dalla classe come se avessi violato una legge sacra e a trovare un luogo, magari l’aula a fianco, se libera, dove seguire la diretta streaming della lezione, anche se l’università si è sempre professata pubblica e aperta a tutti coloro che vogliono ascoltare in presenza. La scusante addotta è la nostra sicurezza, ma è un’affermazione ipocrita, proclamata dalle stesse istituzioni che tre anni fa mantenevano le cosiddette “classi pollaio” nonostante fossero un pericolo per la nostra sicurezza, per esempio in caso di incendio.
Analizzato ciò, elenco altre due novità introdotte in università e tirate voi le vostre conclusioni: le biblioteche si stanno munendo di tornelli e le discussioni delle tesi triennali avvengono da remoto.
Pezzo per pezzo ci tolgono la possibilità di studiare, oltre a toglierci giorno dopo giorno il piacere dello studio, della ricerca e della discussione, in un contesto sociale e formativo basato su rapporti umani coltivati in presenza e non virtualmente.
Noi sicuramente, pur amareggiati, non staremo più a guardare!
Micol S. – studente e attivista di Milano