Abbiamo intervistato Beppe Corioni, storico attivista del Centro sociale 28 Maggio di Brescia e fra i promotori del presidio alla base di Ghedi del 17 settembre che, insieme all’Associazione Nazionale dell’Uranio Impoverito (ANVUI), Donne e Uomini Contro la Guerra Brescia, Centro documentazione “Abbasso la Guerra” hanno dato vita al presidio.
Ci dai le tue valutazioni sul presidio di Ghedi? Considerando anche i presidi organizzati, in contemporanea, ad Aviano e Iglesias, le mobilitazioni contro la guerra possono avere un respiro più nazionale? Avete pensato a nuove iniziative?
Non è la prima volta che facciamo presidi fuori dalla base militare di Ghedi e se devo dirla tutta, rispetto all’ultimo presidio organizzato a marzo del 2022, come numero di partecipanti, eravamo la metà.
Quello del 17 settembre però ha avuto un maggior peso politico perché siamo riusciti a contattare e coinvolgere più realtà: da Unione Popolare del Friuli Venezia Giulia che ha organizzato lo stesso giorno un presidio alla base NATO di Aviano, ai comitati contro la guerra sardi (la sede centrale della RWM è a Ghedi) con cui ci siamo collegati telefonicamente. Inoltre hanno partecipato delegazioni di molte realtà pacifiste, tra cui anche esponenti di un comitato che lotta contro la base di Camp Derby.
Oltre alle quattro associazioni promotrici del presidio hanno aderito altre 40 organizzazioni e singoli, tra cui quella di Vito Petrocelli, fatto fuori dalla carica di Presidente della Commissione Affari Esteri perché ha votato contro l’invio di armi in Ucraina.
Oggi non esiste una vera e propria rete, ci sono contatti che noi in effetti abbiamo attivato. Il movimento pacifista è debole e serve costruire una rete, serve anche più conoscenza. È necessario affrontare questioni importanti come quella della guerra, perché non siamo in una fase di normalità ormai da diversi anni e dobbiamo capire la gravità della situazione.
In Yemen ci sono 380mila morti, ma nessuno ne parla. Anche la Cina ha dichiarato che se gli USA intervengono su Taiwan, sono pronti alla guerra. Serve quindi maggiore conoscenza e lavorare allo sviluppo di una rete dei comitati pacifisti che lottano contro le guerre e il nucleare. Una rete che è esistita, ma che poi si è disgregata.
Questa è la realtà, che ci piaccia o no. Quindi siamo soddisfatti, ma non ci fermiamo: serve consolidare i risultati raggiunti e andare avanti. Abbiamo pensato di organizzare un convegno nazionale con tutte le realtà pacifiste per studiare una modalità di intervento su un problema, quello della guerra, che si sta allargando in maniera pericolosa.
Come pensate di usare le informazioni raccolte con le ispezioni? Anche il Consigliere regionale Piccirillo ha aderito al presidio: pensate di chiedere conto anche alla Giunta della Regione Lombardia?
Noi ci siamo sempre rivolti alle istituzioni, ad esempio alcuni mesi fa ci siamo incontrati con il nuovo Prefetto di Brescia visto che era uscita su la Repubblica la notizia che si stavano elaborando nuove procedure in caso di attacchi nucleari o batteriologici.
Anche Il Sole 24 ore ha pubblicato che ci sono 100 testate nucleari in Italia. È evidente che la Costituzione e gli accordi internazionali vengono sistematicamente violati. Tra questi il Trattato di Non Proliferazione (TNP) che anche l’Italia ha firmato e per cui non potrebbe avere o produrre bombe atomiche sul nostro territorio. Ma così non è: gli USA possono stoccare armi in Italia tranquillamente! È evidente che non possiamo decidere noi di ciò che succede nel nostro paese.
Quindi, c’è una questione di fondo su cui bisogna riflettere ed è quella dell’extraterritorialità e della mancanza di sovranità nazionale.
Vi siete mai chiesti cosa sia una base NATO? È un luogo dove vengono accolti soldati e materiale della NATO e che gode di extraterritorialità, ossia non è soggetta ai poteri e alla legislazione dello Stato in cui si trova, ma ha le sue leggi e le sue regole. Vi si addestrano militari, vi si fanno esercitazioni e ricerche segrete, vi si svolgono attività di spionaggio.
L’Italia mette a disposizione territorio, strutture e risorse e gli USA ci parcheggiano le loro bombe, che gestiscono direttamente. In Italia ci sono 120 basi militari e 20 basi militari e residenziali coperte da segreto, di cui non si hanno informazioni.
La più importante base NATO è quella di Sigonella dove ci sono droni che vengono usati direttamente dai militari americani, senza la nostra autorizzazione (mentre l’accordo prevedeva, caso per caso, che anche il Ministero della Difesa decidesse). Con questi droni hanno ammazzato molti civili in Medio Oriente.
Poi c’è la base di Camp Derby, che è il più grande sito di stoccaggio di armi americane; quella di Gaeta, il cui porto ospita la nave ammiraglia e il comando della VI flotta statunitense; quella di Aviano, che è la più grande base aerea americana del Mediterraneo; quella di Vicenza dove si trova l’US Army, il centro di comando che controlla tutto il Sud Europa.
La base di Ghedi è un deposito di armi nucleari. Qui hanno creato una base all’interno della base stessa dove i militari della vecchia base non possono più accedere. L’hanno ampliata per le nuove B61-12, bombe studiate per gli F35, aerei da guerra “invisibili” ai radar, ed entrate in produzione a maggio di quest’anno negli USA. Di queste bombe se ne dovrebbero produrre 480, per un costo di 10 miliardi di dollari, da distribuire nelle varie sedi collocate in Europa e non solo… Quindi nuovi bunker, nuovi hangar per ospitare trenta F35, nuove stazioni radar, ecc. Sia le vecchie B61 sia le nuove bombe vengono gestite dagli americani.
Tutte queste informazioni non sono emerse perché sono coperte dal segreto di Stato, ma è importante che con l’ispezione abbia fatto capire che l’Italia sta violando il Trattato di Non Proliferazione Nucleare.
Le parlamentari Suriano e Ehm, hanno rilasciato una dichiarazione dopo l’ispezione e presenteranno interpellanze parlamentari. In passato già la Cunial aveva presentato interrogazioni parlamentari sulla presenza di basi NATO e di armi nucleari.
Queste informazioni sono utili per sviluppare anche la mobilitazione sul piano legale: con gli avvocati dell’Associazione IALIANA vogliamo mettere in campo una denuncia rispetto alla presenza di testate nucleari a Ghedi. Incontreremo anche i compagni che vivono a Ghedi per coinvolgere la cittadinanza stessa affinché sottoscrivano la denuncia. Inoltre se anche Piccirillo si attiva per portare la battaglia anche in Regione è ottimo, dobbiamo usare ogni strumento che abbiamo a disposizione.
Nelle prossime settimane sono previste importanti mobilitazioni: dallo sciopero generale dei sindacati di base indetto per il 2 dicembre, alle manifestazioni promosse dagli operai GKN, alle altre contro il carovita. Pensi che il movimento contro la guerra debba coordinarsi con le altre lotte?
Si, anche perché sono tutte questioni strettamente legate tra di loro. Un esempio? L’apparato produttivo del nostro paese è formato da un 97% di piccole aziende sotto i 20 lavoratori, il 2% da medie aziende, dai 20 ai 500 operai, l’1% da aziende con oltre 500 dipendenti.
Le conseguenze della guerra in Ucraina colpiscono direttamente anche le piccole aziende che formano l’indotto e che è facile che saltino. Io ho lavorato 23 anni in una fabbrica artigiana di 10 operai, i costi erano “tirati” e dipendevamo da chi ci dava il lavoro. Se i costi aumentano in maniera spropositata, le aziende chiuderanno dopo aver sfruttato ancora di più i lavoratori per “abbassare i costi”. Ma così aumenteranno i ritmi di lavoro, gli infortuni, i morti, ecc. Quindi non è solo una questione di soldi che il governo italiano dà all’Ucraina, le conseguenze toccano altri settori, in particolare l’apparato produttivo. Serve che tutti capiscano a cosa stiamo andando incontro. La gente sarà disperata, scenderà in piazza, ma se non c’è un coordinamento tra le organizzazioni di classe, scoppieranno il caos e la guerra tra poveri.