Italia 2021: sembra il ritorno dello squadrismo padronale, ma è la necessità della rivoluzione socialista

L’11 giugno un picchetto alla Zampieri-FedEx in provincia di Lodi è stato assaltato da 50 fra picchiatori e crumiri: vari operai rimangono feriti e tra questi uno in modo grave.
Pochi giorni dopo tocca al presidio dei lavoratori della Texprint di Prato dove i padroni dell’azienda aggrediscono gli operai a pugni e mattonate.
Il 18 giugno Adil Belakhdim, coordinatore del SI COBAS a Novara, viene ammazzato durante un picchetto, nel corso dello sciopero nazionale della logistica.

Non sono casi isolati di violenza poliziesca o per mano di malavitosi e vigilantes delle agenzie private: è il trattamento abituale riservato ai lavoratori del SI COBAS che per le lotte che conducono sono diventati oggettivamente un punto di riferimento.

Di fronte a questi fatti da più parti si sente dire che nel paese c’è un clima che ricorda l’inizio del Ventennio fascista e lo squadrismo organizzato dai capitalisti sotto lo sguardo complice delle forze di polizia. Un clima in cui chi ha meno scrupoli e si dimostra più deciso a stroncare la mobilitazione dei lavoratori viene preso a esempio e modello da tutti gli altri capitalisti.

In effetti, la situazione attuale ha alcune analogie con quella di cento anni fa.

La principale consiste nel fatto che, oggi come allora, il corso delle cose è determinato dalla crisi generale del capitalismo. Una crisi che non ha soluzioni entro i confini del modo di produzione capitalista e che per essere risolta necessita della rivoluzione socialista e di un nuovo modello di società: potere nelle mani degli operai e delle masse popolari organizzate, aziende pubbliche che producono ciò che è necessario per il benessere di tutta la popolazione, ampia partecipazione delle masse popolari nella direzione del paese.

Da 40 anni, invece, gli effetti della crisi generale si abbattono sulle masse popolari, che cercano di resistere al progressivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro, alla precarietà e alla continua eliminazione di diritti e tutele.
Per contrastare la loro resistenza, la classe dominante usa principalmente due strumenti: diversione dalla realtà e intossicazione delle coscienze e la repressione contro chi osa alzare la testa e organizzarsi.

Quando descrivere l’inferno con i colori del paradiso non basta più per ingannare le masse popolari, quando i bisogni indotti, i passatempi autolesionistici, l’abbrutimento morale e la realtà virtuale non riescono più a distoglierle dai problemi reali, quando non ci sono più persone disposte a credere che lavorare 13 ore al giorno per 600 euro al mese senza tutele né garanzie sia “il migliore dei mondi possibili”, allora arriva la repressione.

Non si tratta di un fenomeno circoscritto ad alcuni settori, ad alcune aziende, ad alcuni padroni più bastardi di altri: questo è il sistema con cui capitalisti, speculatori, politicanti borghesi, comitati di affari, istituzioni, magistratura, polizia e carabinieri fanno valere la sacra legge del profitto e impongono il dominio della classe dominante.

Fra la situazione di oggi e quella di cento anni fa ci sono tuttavia anche varie e importanti differenze.
Anzitutto, la parte più reazionaria della borghesia imperialista è già al governo, nel nostro paese e nella UE. I continui moniti riguardo al pericolo del “moderno fascismo che avanza” sono una forma di diversione dalla realtà.

I “democratici borghesi” della classe dominante nascondono le loro responsabilità nel massacro di migranti, come nel massacro di quanti, nei paesi imperialisti, ancora muoiono per malattie curabili o per effetto delle privatizzazioni, inquinamento, devastazione ambientale, mancanza di sicurezza sui posti di lavoro…. È la “guerra di sterminio non dichiarata” che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari.
È la borghesia imperialista (e che si dichiari conservatrice o democratica poco importa) che ha manovrato affinché ogni azienda diventasse una caserma, che ha ridotto all’osso o eliminato del tutto i diritti, che ha creato un esercito di precari, che ha trasformato i giovani in carne da macello, che perseguita le donne, gli omosessuali, le minoranze di ogni tipo…
Salvo poi promuovere pubblicamente, trasudando ipocrisia, le giornate contro la violenza o la green economy.

In secondo luogo, cento anni fa il movimento comunista era forte in Italia e nel mondo. La condotta terroristica della borghesia era spregiudicata perché ai cancelli delle fabbriche e ai portoni delle ville e dei palazzi dei ricchi bussava la rivoluzione socialista.
È un insegnamento assodato: quanto più i capitalisti avvertono che il loro dominio è messo in discussione, tanto più fanno ricorso alla violenza e al terrorismo.
Il fascismo fu, appunto, la risposta dei capitalisti al movimento rivoluzionario, la dittatura terroristica della borghesia imperialista sulla classe operaia e sulle masse popolari.

Durante la prima crisi generale del capitalismo (1900 – 1945), la borghesia imperialista ha usato il fascismo e il nazismo contro la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari. Lo ha fatto in Italia come reazione al Biennio Rosso (1919 – 1920), lo ha fatto in Germania per fiaccare la crescita del Partito comunista tedesco, lo ha fatto in Spagna per rovesciare la Repubblica del Fronte Popolare (1936). In altri paesi imperialisti la borghesia non ha instaurato un regime di dittatura terroristica aperta: non lo ha fatto in Gran Bretagna, in Francia o negli USA.
Ciò, ovviamente, non significa affatto che in quei paesi avesse abiurato alla propria natura e alla propria funzione: in politica estera gli imperialisti britannici, francesi e statunitensi hanno puntato sul nazismo per cancellare l’URSS dalla storia (salvo poi dichiarare guerra alla Germania nel 1939) e in politica interna hanno represso il movimento operaio e perseguitato, incarcerato e trucidato i comunisti, proseguendo nell’opera ben oltre la fine della Seconda Guerra Mondiale.
Questo per tenere a mente che la borghesia imperialista è per sua natura una classe reazionaria che impone inevitabilmente la guerra fra Stati come strada per fare fronte alla crisi del suo modo di produzione e la guerra fra poveri come strada per ostacolare la mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.
La “svolta fascista” è l’estremo rimedio – a cui ricorre con parecchie remore, visto anche come sono andate l’avventura italiana e tedesca – a fronte della rivoluzione socialista che incombe su di essa.
Oggi non siamo in un regime di “moderno fascismo”, ma la necessità della rivoluzione socialista trasuda da ogni parte della società.

I capitalisti oggi sono all’attacco non perché hanno di fronte un nemico organizzato, cosciente e disciplinato che lotta per la conquista del potere, attaccano per impedire che il nemico si organizzi, prenda coscienza, si dia una disciplina e li spazzi via. Attaccano, anche, per evitare che la ribellione di pochi diventi un esempio per tanti. Attaccano, in definitiva, perché nonostante gli sforzi profusi nella diversione e nell’intossicazione delle coscienze non riescono a convincere milioni di proletari ad accettare lo sfruttamento e i sacrifici, a intrupparsi in massa nella guerra fra poveri e nella guerra fra Stati, uniche vie che la borghesia imperialista è disposta a imboccare e perseguire per risolvere, a suo vantaggio, la crisi.

La guerra della borghesia imperialista contro le masse popolari è già in corso. Le masse popolari hanno di fronte soltanto due possibilità: subirla o combatterla.
Per subirla non intendiamo solo mantenere un atteggiamento di passività. Anche chi si pone come organizzatore e promotore della resistenza delle masse popolari può oggettivamente indurle a subirla. Lo fa ogni volta che si limita a promuovere la linea di difendersi colpo su colpo dagli attacchi dei padroni (ma in questo modo le masse popolari non prendono mai l’iniziativa in mano); quando alimenta divisioni e contrapposizioni in seno alle masse popolari (in questo modo ostacola l’unità d’azione contro il nemico comune); lo fa, infine, quando indica il rispetto delle regole e della legalità borghese come strada per far valere la forza delle masse popolari (“per cambiare le cose partecipate alle elezioni”, “abbiate fiducia nella legge e nella giustizia”).

Per combattere la guerra che la borghesia imperialista conduce contro le masse popolari, bisogna che le masse popolari combattano la loro guerra. Una guerra popolare rivoluzionaria di lunga durata.
La rivoluzione socialista non si realizza di punto in bianco con un colpo di mano. È una guerra che la classe operaia e le masse popolari combattono contro i capitalisti, sotto la direzione del partito comunista. Una guerra che ha le sue leggi, che i comunisti preparano per tempo e a cui preparano le masse popolari.

È una guerra popolare, perché è combattuta dalle masse popolari e che in definitiva può essere vinta solo dalle masse popolari; è una guerra rivoluzionaria, perché il suo obiettivo è instaurare il potere della classe operaia e delle masse popolari organizzate; è una guerra di lunga durata perché per vincere bisogna essere disposti a combattere per tutto il tempo che sarà necessario, formare, organizzare e dirigere le proprie forze in conformità a questo imperativo.

Una sintesi riguardo alla situazione in cui siamo immersi: la mobilitazione rivoluzionaria ad opera del movimento comunista e quella della mobilitazione reazionaria ad opera della borghesia imperialista si contendono la direzione della classe operaia e delle masse popolari. Ma la borghesia imperialista non ha nulla di positivo da offrire alle masse popolari.

Più che all’inizio dello squadrismo fascista, siamo nella situazione in cui per non morire sotto il tallone del capitalismo e dei padroni, la classe operaia e le masse popolari devono instaurare il socialismo.

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