150 anni dalla Comune di Parigi

“Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata in eterno, come l’araldo glorioso di una nuova società”.
Karl Marx, La guerra civile in Francia, 1871

Il 18 marzo 1871, le masse popolari della capitale francese, in armi, cacciarono il governo borghese e instaurarono la Comune di Parigi. Per la prima volta nella storia i lavoratori presero nelle proprie mani il potere politico, conquistarono la possibilità di decidere per loro stessi, spezzarono la dittatura della borghesia e instaurarono quella del proletariato.
Finché la Rivoluzione d’Ottobre non ne raccolse il testimone nel 1917, fu la Comune di Parigi l’unico esempio di rivoluzione proletaria a cui rifarsi, che aveva mostrato le forme e i modi in cui questa si era realizzata concretamente.Questo primo assalto al cielo terminò in una rapida sconfitta, che la borghesia francese trasformò in un massacro, sperando di spazzare via per sempre l’esempio della Comune e con esso l’idea di rivoluzione sociale.
Ma l’esempio invece restò, fu motivo di speranza per milioni di lavoratori, preziosa fonte di insegnamenti per i rivoluzionari, da Marx a Lenin.
Il primo insegnamento che diede la Comune con le sue vittorie, ma anche con gli errori che determinarono in definitiva la sua sconfitta, fu che era possibile per i lavoratori farla finita con la borghesia e prendere il potere.
Il secondo fu che per farlo doveva spezzare con la forza la macchina statale borghese e plasmare il proprio sistema di dittatura del proletariato. Attraverso questo potevano poi essere attuate le misure per costruire il socialismo.

L’insurrezione di Parigi

Al principio della prima rivoluzione operaia c’è una guerra, il conflitto tra il regno di Prussia, che vuole unificare la Germania, allora divisa in tanti piccoli Stati indipendenti, e l’Impero francese, che vuole impedirlo, per evitare la nascita della potenza tedesca ai suoi confini. Il 2 settembre 1870, l’esercito francese è sconfitto dai prussiani, che fanno prigioniero l’imperatore e arrivano a minacciare la capitale. La prima conseguenza in Francia è il crollo dell’Impero e l’instaurazione, a furor di popolo, della Repubblica. Ma nonostante il cambio di regime, la grande borghesia e i grandi proprietari fondiari riescono a mantenere saldamente il controllo del nascente governo repubblicano.

Nel frattempo le masse popolari parigine, armate nella Guardia Nazionale, sono decise a resistere e a cacciare gli invasori, e per mesi presidiano con coraggio e determinazione la città assediata.

La classe dominante è invece evidentemente disposta a svendere ogni interesse patriottico pur di disarmare i lavoratori e possibilmente restaurare la monarchia. Obiettivo condiviso anche dai prussiani, che liberano addirittura 100.000 prigionieri di guerra francesi che vengono utilizzati per sottomettere Parigi. Il nuovo governo repubblicano temporeggia e firma infine una pace umiliante. Il popolo di Parigi, però, non disarma.

Seguono settimane di piccoli scontri tra il governo repubblicano e l’esercito regolare da una parte, e il proletariato parigino, armato nella Guardia Nazionale, dall’altra. Il 18 marzo 1871, fallisce il tentativo del governo repubblicano di requisire l’artiglieria della Guardia Nazionale (i soldati regolari fraternizzano con i parigini e fucilano il loro comandante) e l’insurrezione prende il via. La Guardia Nazionale occupa i municipi, le caserme, gli edifici governativi e il suo comitato centrale, composto di delegati eletti in ogni battaglione, si installa nel Municipio, dove viene issata la bandiera rossa. Il governo repubblicano scappa in fretta e furia a Versailles.

La dittatura del proletariato

“I proletari di Parigi,” diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo, “in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora in cui essi debbono salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione dei pubblici affari… Essi hanno compreso che è loro imperioso dovere e loro diritto assoluto di rendersi padroni dei loro destini, impossessandosi del potere governativo” – Karl Max, La guerra civile in Francia, 1871.

L’organizzazione politica di base delle masse popolari parigine è nei club e nelle sezioni dell’Internazionale: decine di circoli con sede in locali pubblici, ognuno con un proprio programma. Già dal 5 settembre 1870, tre giorni dopo la sconfitta di Napoleone III, temendo che i membri del nuovo governo non avessero nessuna intenzione di dare seguito alle speranze di cambiamento sociale e alle promesse di lotta all’invasore fatte con l’instaurazione della Repubblica, delegati di decine di questi circoli si trovano in assemblea e deliberano la creazione di comitati di vigilanza in ogni circoscrizione cittadina e di un di comitato centrale composto da delegati di questi, per vigilare sull’operato del governo.

Nel febbraio 1871, anche la Guardia Nazionale si dota di una simile organizzazione: ogni battaglione costituisce con suoi delegati un comitato rionale e si forma un comitato centrale composto da delegati dei comitati rionali, con autorità sull’intero corpo della Guardia Nazionale, sconfessando così il generale nominato dal governo borghese.

Fu questo sistema di organismi popolari formatosi nel periodo precedente, di circoli operai, di comitati di vigilanza, di comitati della Guardia Nazionale, che prese il potere con l’insurrezione del 18 marzo determinando la cacciata del governo borghese. L’organo supremo di governo divenne la Comune, che non era un organismo parlamentare, ma un organo di lavoro, esecutivo e legislativo allo stesso tempo, eletto a suffragio universale, composto da delegati (in gran parte lavoratori) eletti in ogni quartiere in numero proporzionale agli abitanti, immediatamente revocabili dalla base.

I circoli, la Guardia Nazionale, la Comune: questo era il sistema politico in cui si articolava la dittatura del proletariato.

Le misure prese della Comune

La rivoluzione della Comune non fu preparata e condotta da un partito comunista con una sua strategia e un suo programma per costruire il socialismo. Essa venne, anzi, instaurata sull’onda degli avvenimenti. Preso il potere politico, il proletariato non aveva un programma di misure per espropriare i capitalisti ed instaurare il socialismo. Proprio questa fu la sua principale debolezza, che ne determinò infine la sconfitta.

La Comune prese quindi misure principalmente di buon senso, che davano forza di legge a quanto già realizzato nei fatti (come l’istituzione dell’esercito popolare) o che rispondevano alle principali rivendicazioni popolari. Misure comunque impossibili da realizzare sotto il giogo della borghesia e all’interno del capitalismo.

“(…) nella società attuale, il proletariato è economicamente asservito al capitale, non può dominare politicamente senza spezzare le catene che lo avvincono al capitale. Ecco perché il movimento della Comune doveva inevitabilmente assumere un colore socialista, tendere cioè all’abbattimento del dominio della borghesia, del dominio del capitale, e alla demolizione delle basi stesse del regime sociale dell’epoca.
(…) Malgrado le condizioni cosi sfavorevoli, malgrado la brevità della sua esistenza, la Comune riuscì ad adottare qualche misura che caratterizza sufficientemente il suo vero significato e i suoi scopi. Essa sostituì l’esercito permanente, strumento cieco delle classi dominanti, con l’armamento generale del popolo, proclamò la separazione della Chiesa dallo Stato, soppresse il bilancio dei culti (cioè lo stipendio statale ai preti), diede all’istruzione pubblica un carattere puramente laico, arrecando un grave colpo ai gendarmi in sottana nera.
Nel campo puramente sociale, essa poté far poco; ma questo poco dimostra con sufficiente chiarezza il suo carattere di governo del popolo, di governo degli operai. Il lavoro notturno nelle panetterie fu proibito; il sistema delle multe, questo furto legalizzato a danno degli operai, fu abolito; infine, la Comune promulgò il famoso decreto in virtù del quale tutte le officine, fabbriche e opifici abbandonati o lasciati inattivi dai loro proprietari venivano rimessi a cooperative operaie per la ripresa della produzione. Per accentuare il suo carattere realmente democratico e proletario, la Comune decretò che lo stipendio di tutti i suoi funzionari e dei membri del governo non potesse sorpassare il salario normale degli operai e in nessun caso superare i 6000 franchi all’anno (meno di 200 rubli al mese)” – Vladimir Lenin, In memoria della Comune, 1910

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