Medicina Democratica ha una lunga storia. Puoi illustrare sinteticamente gli obiettivi per cui è nata e le tappe principali della sua azione?
Medicina Democratica-Movimento di Lotta per la Salute è nata formalmente con il congresso del 1976. In quella sede sono stati raccolti il lavoro e le esigenze espresse da un’ampia parte del movimento operaio per l’affermazione della salute in fabbrica, la salubrità dei luoghi di lavoro e l’attuazione del diritto alla salute quale bene costituzionale. In un certo senso è nata da una delle “onde lunghe” del 1968 e in particolare dalle lotte in alcune fabbriche (come la Montedison di Castellanza) per la tutela della salute in fabbrica a partire dall’appropriazione (ricostruzione) della conoscenza dei cicli produttivi e dalla loro critica in termini di nocività per i lavoratori e per l’ambiente. In tale ambito Medicina Democratica è stata in prima fila per ottenere riforme come quella sanitaria, sulla interruzione volontaria della gravidanza e la chiusura dei manicomi. A partire dal 1994 con l’esposto relativo alle produzioni di cloruro e polivinilcloruro di Marghera abbiamo iniziato un percorso anche di tipo giudiziario legato alle lotte locali per la tutela dell’ambiente e dei luoghi di lavoro o a fronte di eventi significativi (es Thyssen Krupp). Queste iniziative hanno portato a processo i responsabili delle morti di operai e di cittadini connesse con produzioni nocive (amianto, PVC, coloranti, benzene, arsenico, cromo, centrali a carbone) riuscendo in molti casi a ottenere sentenze favorevoli alle vittime e il riconoscimento delle responsabilità dei vertici aziendali, come pure significative modifiche giurisprudenziali (la legge sugli ecoreati è in parte “figlia” di questa iniziative). Nel contempo abbiamo sostenuto, in particolare tecnicamente, le lotte di centinaia di comitati locali e di realtà operaie autorganizzate per contrastare nuove opere ad elevato impatto o per definire vertenze migliorative delle condizioni di vita e di lavoro. Dal 2003 abbiamo assunto lo status di Onlus senza alcuna modifica negli obiettivi statutari originali.
Quali battaglie e iniziative Medicina Democratica ha promosso in questi mesi di emergenza sanitaria? Quali sono i punti di forza nelle battaglie condotte? Quali le difficoltà e i limiti?
Dopo aver discusso tra noi, con le difficoltà connesse alle limitazioni di mobilità, abbiamo definito un primo intervento con un comunicato stampa il 21 marzo denunciando in particolare la strage di operatori sanitari e identificando tale situazione come infortuni sul lavoro e non semplice “accidente” da pandemia.
Siamo riusciti inoltre a condurre un appuntamento contestuale a quello europeo del 7 aprile contro la commercializzazione della sanità mediante flash mob sul web. Soprattutto abbiamo aperto, con il fondamentale apporto di Vittorio Agnoletto, l’osservatorio coronavirus costituito dagli interventi su Radio Popolare, la raccolta di denunce e segnalazioni, la risposta a domande da parte dei cittadini e dei lavoratori.
Quindi abbiamo redatto e reso pubblico l’appello che è stato condiviso da oltre 50 realtà nazionali. La difficoltà e il limite principale che cerchiamo di superare, a partire dalla nostra limitata dimensione numerica e anche con un impegnativo sforzo organizzativo, è la frammentazione dell’iniziativa di comitati e associazioni, spesso su aspetti parziali condivisibili, ma con un’efficacia ridotta perché condotte a livello locale o in assenza di una visione più generale a cui far riferimento e ricondurre gli interventi per rafforzare un movimento più ampio per il cambiamento.
Medicina Democratica ha promosso un coordinamento nazionale per una sanità pubblica e universale e per la più complessiva lotta per la salute. Che tipo di associazioni, comitati e realtà intendete coordinare? A che punto è questo percorso? Quali obiettivi pratici vi ponete?
L’intenzione è di riunire e far parlare tra di loro la miriade di associazioni, spesso costituite su un unico obiettivo parziale rispetto ai temi della salute e della sanità, per incrementarne la capacità di pressione su obiettivi di carattere generale. In altri termini chiediamo loro, nel continuare le proprie iniziative per le quali sono nate, di guardare e agire anche in un quadro più complessivo. Lottare per obiettivi generali renderà più agevole raggiungere anche gli obiettivi specifici per cui si sono costituite.
L’obiettivo pratico immediato è quello di formulare degli indirizzi di modifica del sistema sanitario nazionale affinché ritorni la centralità del pubblico e, nel contempo, far sì che gli obiettivi del SSN siano quelli di agire sui determinanti della salute individuali e collettivi e non semplicemente quello di incrementare le prestazioni. In questo periodo, dopo l’appello lanciato da Medicina Democratica e accolto da molti, stiamo mettendo a punto un “manifesto” che sintetizzi gli obiettivi principali, quindi intendiamo ampliare le vertenze su alcuni temi condivisi da numerose realtà (RSA, sicurezza sul lavoro, medicina territoriale sono i titoli principali) per far confluire proposte e obiettivi in una proposta di legge. Sia chiaro, la proposta di legge la vediamo come una palestra di discussione nel mentre si propongono iniziative specifiche e uno strumento per esplicitare un nuovo modello generale di politica sanitaria che abbia al centro l’art. 32 della Costituzione ovvero il diritto alla salute (la sanità è lo strumento, la salute l’obiettivo).
Tra gli obiettivi concreti posso ricordare i seguenti: l’abolizione della libera professione intramoenia; l’eliminazione della “sanità integrativa” o la sua limitazione a settori marginali, si fa riferimento anche a quella contrattata nell’ambito del “welfare aziendale”: tutti devono poter avere lo stesso accesso con gli stessi tempi e le stesse modalità ai servizi sanitari; la rimozione di ogni ipotesi di regionalismo differenziato, puntando invece a garantire nel concreto in modo uniforme in tutto il paese i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e, in caso di emergenze, un approccio unitario e un intervento uniforme e coordinato; ricondurre a unità l’intervento pubblico di tutela di salute e ambiente (One Health) in quanto le condizioni ambientali come quelle nei luoghi di lavoro sono determinanti di salute, come confermato anche dall’attuale emergenza pandemica; tenere conto della salute animale: gli allevamenti intensivi favoriscono il passaggio di specie dei virus e sono alla base della promozione di consumi e abitudini alimentari non salutari.
Sono tanti i comitati che si stanno mobilitando con la parola d’ordine “non un euro alla sanità privata, sì al diritto alla salute pubblico, gratuito e universale”. Quali sono i passi che Medicina Democratica e il coordinamento nazionale intendono fare per dare attuazione a questo obiettivo?
Stiamo svolgendo riunioni sia “plenarie”, con le decine di associazioni che hanno condiviso i contenuti e il percorso, che di gruppo su temi specifici centrali sulla questione più generale di riprendere i fili della riforma sanitaria del 1978 per attualizzarne i contenuti. Alla base vi è sempre l’idea che nell’ambito dell’obiettivo della tutela della salute vi è un sistema sanitario fondato sull’universalità (accesso paritario per tutti), la gratuità (il costo è già pagato dalla fiscalità generale) e la partecipazione (la salute in una determinata area non è semplicemente il numero di prestazioni cui si può accedere, ma l’identificazione dei fattori di rischio territoriali e l’individuazione di interventi per ridurne il peso).
Al centro vi deve essere una politica basata sull’obiettivo della prevenzione (eliminazione/riduzione dei fattori di rischio di tipo sociale: lavoro, ambiente, condizioni di vita) cui segue l’accesso a cure appropriate ed efficaci sulla base di un “contratto sociale” da modificare in base alle esigenze e alle caratteristiche locali. In ogni caso vogliamo la riduzione drastica del peso della sanità privata ma ancor più l’espulsione dalla sanità pubblica delle logiche privatistiche imperanti (“aziendalizzazione”, nomina di direttori generali politici, sistema di pagamento DRG “a numero di prestazioni”, prestazioni “intramurarie” ecc). La “parola d’ordine” dell’iniziativa è “la salute non è una merce, la sanità non è una azienda”. Prevediamo di chiamare, con i contenuti del “manifesto”, le persone a manifestare affinché la “normalità malata” del precovid non ritorni, anche tramite un progetto di legge che cancelli le controriforme successive alla Legge 833/1978.
Una delle problematiche rispetto allo smantellamento del SSN è quello dell’emergenza assunzioni. Tanti sono i lavoratori precari e i vincitori di concorso in attesa dello scorrimento delle graduatorie in tutta Italia per essere assunti. Quali iniziative avete messo in campo per lo scorrimento delle graduatorie e quali intendete portare avanti?
Medicina Democratica non è in grado di intervenire direttamente nei meccanismi concorsuali ma sostiene ogni lotta per l’incremento (la sostituzione almeno!) del personale sanitario perso negli anni delle “compatibilità di bilancio”. Si è invece impegnata dall’inizio (uno dei suoi fondatori, Giulio A. Maccacaro era un professore universitario) nel far riconoscere la formazione del medico e dell’operatore sanitario come uno snodo fondamentale per una sanità rinnovata con un approccio fondato sulla prevenzione e non solo sulla diagnosi e la cura. La formazione degli operatori sanitari deve proseguire nei luoghi di lavoro con certezze in termini di contratto per rendere continuativo il processo di crescita nell’esperienza che non può essere garantito con rapporti di lavoro di tipo precario come prefigurato anche nelle ultime iniziative sugli “infermieri di quartiere”. La difficoltà nelle assunzioni è certamente legata ai processi di definanziamento degli ultimi 10 anni del SSN (37 miliardi) nell’ambito complessivo della riduzione “lineare” del pubblico impiego non garantendo il turnover nello stesso momento in cui si ampliavano i settori ove si lasciava dilagare la sanità privata. Sono oltre 43.000 i posti di lavoro persi nella sanità pubblica tra il 2010 e il 2019 (tra cui 7.625 medici e 12.556 infermieri), contestualmente sono stati chiusi (molti spostati nella sanità privata) 45.000 posti letto con una riduzione significativa dei posti in terapia intensiva, uno dei fattori che ha reso più pesante nel nord Italia gli effetti della pandemia.
Fronte critico emerso dall’emergenza Covid-19 è quello della sicurezza sui posti di lavoro sia dal punto di vista delle forniture dei DPI e della tutela della salute degli operatori sanitari, sia dal punto di vista della fatiscenza delle strutture sanitarie. Quali iniziative avete messo in campo o avete in cantiere su questo problema?
I temi della sicurezza nei luoghi di lavoro, inclusi quelli socio-sanitari, sono sempre stati al centro della iniziativa di MD come pure quelli del miglioramento dei luoghi ove vengono erogate le prestazioni, chiedendo la ristrutturazione e la modernizzazione delle strutture evitando però gli investimenti faraonici in nuove strutture accorpandone diverse (e chiudendo quelle di minor dimensioni ma indispensabili per i territori “marginali”) e con l’utilizzo del project financing ovvero legandosi mani e piedi per decenni al privato. Il principale e basilare aspetto che è mancato nella gestione della pandemia e ha determinato morti evitabili sia dal lato dei cittadini che degli operatori sanitari è stata una organizzazione della presa in carico dei sospetti contagiati inadeguata, senza percorsi dedicati per evitare che le strutture sanitarie diventassero essere stesse diffusori del contagio. Questa carenza organizzativa, cui si è sommata la carenza di DPI per i lavoratori e di posti letti di terapia intensiva, ha mostrato anche l’inadeguatezza della valutazione dei rischi (Dlgs 81/2008) anche ove gli agenti biologici sono da sempre riconosciuti come un fattore lavorativo di rischio “tipico”. L’iniziativa generale di un cambio di passo della sanità, in discussione e condivisione con le altre associazioni, contiene una serie di proposte di intervento per “riorganizzare” l’intervento sanitario anche per evitare che negli ospedali sia centralizzata l’azione di cura, ritornando invece alla “manutenzione” ed estensione di quel primo filtro indispensabile, anche in situazioni di emergenza, costituito dalla medicina territoriale, quindi i medici di base ma soprattutto la proposta delle “case della salute” (proposte da Giulio Maccacaro già nel 1976) da non intendersi come somma di ambulatori ma come punto di incontro tra le esigenze socio-sanitarie individuali e collettive e l’intervento di prevenzione o, ove necessario, di prima cura.
Nell’ordinamento italiano esiste una legge che sancisce l’obbligo di fedeltà aziendale: una legge che di fatto ostacola l’applicazione delle misure anticontagio nelle aziende, con evidenti ricadute sulla salute di tutti… prova ne sia quanto sta accadendo all’infermiere di Massa Marco Lenzoni e a tanti altri lavoratori sia del pubblico che del privato. In realtà i lavoratori sono un importante se non il principale baluardo per far fronte ai pericoli per la salute pubblica: Medicina Democratica può diventare punto di riferimento per le segnalazioni dei lavoratori e contemporaneamente centro promotore per una mobilitazione nazionale contro la legge sull’obbligo di fedeltà aziendale?
Quello della difesa dei lavoratori e delle lavoratrici discriminati e/o licenziati per le loro lotte per la tutela della sicurezza è parte delle iniziative da sempre svolte, pur indirettamente da MD. Come associazione non possiamo intervenire direttamente nei procedimenti giudiziari per tali aspetti ma abbiamo spesso sostenuto i lavoratori per gli aspetti tecnici e mettendo a disposizione i nostri legali di riferimento. Stiamo comunque raccogliendo segnalazioni dai lavoratori e, per quanto ci è possibile, li sosterremo. Nell’ambito della discussione del gruppo lavoro quello della libertà di espressione e iniziativa (sancito dall’art. 9 dello Statuto dei Diritti dei Lavoratori) è stato condiviso, anche dalle altre associazioni, come tema su cui sviluppare l’iniziativa “post covid”. Pertanto intendiamo continuare a fare la nostra parte per eliminare ogni forma di discriminazione nei luoghi di lavoro nei confronti dei lavoratori che promuovo la sicurezza per sé e per gli altri.
È peraltro un paradosso che gli obblighi dei lavoratori possano mettere in pericolo l’applicazione delle misure anticontagio considerato che si tratta di protocolli concordati anche tra sindacati e aziende (sociosanitarie incluse) nelle quali si responsabilizzano i lavoratori e si prevedono strumenti di attuazione con la partecipazione delle rappresentanze dei lavoratori. Purtroppo è un paradosso non così strano, che si accompagna con la richiesta di “scudo penale” da parte degli imprenditori (pubblici e privati) nei confronti delle indagini per infortunio legate all’esposizione al Sars-Cov2.
Medicina Democratica nella sua storia ha più volte agito a sostegno dei lavoratori e della classe operaia. Quali sono le iniziative di questo genere messe in campo in questa emergenza? Quali quelle in cantiere?
L’osservatorio sul coronavirus ci ha permesso di avere un contatto con i lavoratori sui temi specifici della sicurezza nell’era covid, contestualmente abbiamo esaminato i provvedimenti (in particolare i protocolli tra le parti sociali) e la loro attuazione mettendo a disposizione dei lavoratori informazioni su situazioni e temi specifici come pure dei vademecum (scaricabili dal nostro sito www.medicinademocratica.org) sui “nuovi” temi post covid. Il gruppo di lavoro sta elaborando, sulla base anche di nostre proposte pregresse, alcuni temi ritenuti principali nel rapporto tra salute, sanità e luoghi di lavoro. Chiediamo (come prevede la stessa riforma sanitaria del 1978) che il riconoscimento delle malattie professionali passi dall’INAIL (che deve rimanere solo un ente assicuratore) alle USL/ASL. Chiediamo inoltre che il medico competente sia convenzionato con il SSN pubblico e non un semplice consulente (ricattabile) del datore di lavoro. Approfondire il campo dell’organizzazione del lavoro quale quarto fattore di nocività da affrontare (ad esempio, ma non solo, per lo stress lavoro correlato) come pure l’affermazione dell’uguaglianza delle parti sociali in fabbrica (democratizzazione dei rapporti). Rafforzamento del ruolo dei rappresentanti dei lavoratori della sicurezza in particolare con l’effettiva estensione degli RLS territoriali ma soprattutto garantendo che gli stessi abbiano gli strumenti formativi e conoscitivi idonei per affrontare su un livello paritario i datori di lavoro e i loro consulenti (e trovare nel servizio pubblico un ambito di confronto reale e non burocratico). Affermare l’obiettivo del MAC zero (cambio delle produzioni, eliminazione dalle produzioni) delle sostanze cancerogene, teratogene, mutagene come pure dei disturbatori endocrini, quindi revisione dei cicli produttivi e loro bonifica.
L’emergenza Covid-19 ha fatto emergere la maggiore preparazione ed efficacia dei sistemi sanitari di paesi in cui la sanità è principalmente o totalmente pubblica. Si tratta di paesi che vengono o sono legati alla storia dei primi paesi socialisti (Repubblica Popolare Cinese, Cuba, Venezuela, ecc.). Ci sono forme di collaborazione tra Medicina Democratica e le strutture sanitarie di questi paesi?
Sono forme di collaborazione che vi sono state nel passato e che vanno riallacciate, allo stato MD partecipa a una rete europea che, in sostanza, ha questa impostazione. Abbiamo avuto recentemente rapporti con un’associazione giapponese che si batte per la “pubblicizzazione” del SSN di quel paese e ritiene quello italiano un fondamentale punto di riferimento. Principalmente abbiamo avuto e abbiamo contatti con altri paesi (es. Brasile, Canada) su temi specifici come la messa al bando mondiale dell’amianto. In Italia quello che è certo è che il settore pubblico è quello che ha dovuto affrontare, pur impreparato e indebolito, la tempesta pandemia ed è quello che ha gestito l’emergenza. L’indebolimento negli anni del settore pubblico ha ridotto la capacità di risposta e questo ha incrementato i decessi da covid. Nel caso italiano vi è anche da considerare che l’atteggiamento privatistico è entrato in molte strutture sanitarie (sicuramente nelle ATS e ASST della Lombardia) tanto in profondità che l’approccio pubblico ai temi della prevenzione non è diverso da quello privato. In Italia non basta ridare un peso predominante al pubblico in sanità ma bisogna anche modificare il modus operandi affinché sia l’interesse pubblico a condizionare e dirigere l’iniziativa del SSN.
Nel nostro paese l’epidemia di Covid-19 ha messo a nudo gli effetti di anni di smantellamento della sanità pubblica (fondi, posti letto, personale, servizi, presidi territoriali, medici di base, ecc.) a favore della sanità privata, cioè in mano a capitalisti alla Rotelli e alla Chiesa. E’ un processo iniziato con i cosiddetti “decreti di riordino” del 1992-93 e proseguito dalle autorità nazionali (i governi sia di Centro-destra sia di Centro-sinistra: vedasi ad esempio la riforma Bindi del 1999) e locali (Regioni in primis): quindi non un “incidente di percorso”, ma un processo che (al di là delle differenze che esistono da regione a regione) risponde a una logica generale e ben precisa… Quali sono le misure necessarie a invertire la rotta? E chi può attuarle?
È da oltre vent’anni che MD, assieme ad altre associazioni, si batte contro il paradigma iniziato da Formigoni in Lombardia della “parificazione” tra pubblico e privato che ha mandato alla deriva la sanità pubblica deviandone anche l’impostazione, con le ultime modifiche apportate dalla Giunta Maroni, con la centralizzazione negli ospedali, è stato fatto un ulteriore passo verso la privatizzazione. Un modello dimostratosi inadeguato agli occhi anche dei non esperti resi miopi dalla pubblicistica del “privato è bello e migliore del pubblico”, questo modello ha mostrato i propri limiti nella capacità di difendere il diritto alla salute rispetto all’obiettivo di ricavare profitto dalla malattia. Nella risposta alla domanda 4 ho cercato di indicare alcune misure indispensabili per invertire la rotta. L’attuazione di queste misure necessita di un ampio movimento, come per la riforma del 1978, ove movimento operaio, tecnici (operatori della sanità) e popolazioni sappiano individuare obiettivi condivisi e forzare con l’iniziativa l’inerzia del mondo politico. Ora come allora, la lotta paga.
La Lombardia, dal 1995 amministrata dal Centro-destra (Forza Italia con Formigoni fino al 2013, la Lega con Maroni dal 2013 al 2018 e ora con Fontana), è la regione in cui lo smantellamento della sanità pubblica a favore di quella privata è stato portato più a fondo. I 15mila morti ufficiali per COVID-19 sono il risultato del cosiddetto “modello Lombardia”. I morti ufficiali, perché varie fonti sostengono che sono molti di più: tu puoi darci dei dati attendibili? Hai visto sicuramente il can can suscitato dalla scritta “Fontana assassino” firmata dal Partito dei CARC… la cacciata della giunta Fontana è l’obiettivo (più o meno chiaramente formulato) di vari organismi: qual è la posizione di Medicina Democratica al riguardo?
Siamo tra i firmatari dell’appello sul web per il commissariamento dell’Assessore Gallera quale primo passo per invertire quella politica ventennale, pertanto il nostro giudizio sulla giunta Fontana è chiaro anche se non ci illudiamo della volontà del Governo di commissariare la regione Lombardia. L’obiettivo della caduta della Giunta Fontana è pertanto un obiettivo condiviso da MD ma deve essere accompagnato, non solo nella sanità, da una inversione di marcia nelle norme e nella pratica gestionale quotidiana delle “aziende” sanitarie.
È difficile dare dati attendibili perché sui deceduti extra ospedalieri non sono stati effettuati i tamponi per la verifica della positività. Contiamo che le indagini epidemiologiche faranno chiarezza su questo. Ci si perde inutilmente sulla distinzione tra morti “con” covid e morti “per” covid come a dire che gli anziani e chi soffriva già di altre patologie importanti non sono da considerarsi come morti connessi con la pandemia e quindi da non conteggiare. Si tratta della stessa logica degli anziani “sacrificabili” che ha portato a far diventare reparti d’ospedale di anziani positivi le RSA con operatori non preparati e non messi nelle condizioni di poter gestire questi ammalati. L’ISTAT ha confrontato l’andamento della mortalità nelle varie regioni e aree evidenziando che gli incrementi per gli stessi periodi rispetto agli anni scorsi (con “normali” influenze) sono aumentate, a seconda delle zone, da 50 al 100% dei decessi medi. Considerare un incremento del 50% dei deceduti rispetto al dato nazionale ufficiale appare la stima più credibile con le conoscenze attuali.