[Italia] La tortura in Italia. Intervista a Enrico Triaca

19 giugno, Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero
La resistenza dei rivoluzionari prigionieri, tanto alle pressioni e alla repressione quanto alle lusinghe della classe dominante, rafforza la lotta delle masse popolari contro la crisi e i suoi effetti; la lotta delle masse popolari rafforza la resistenza dei rivoluzionari prigionieri.

Enrico Triaca è stato uno dei compagni delle Brigate Rosse sottoposto a tortura per mano della “squadretta” capeggiata dal “Dottor De Tormentis” (Nicola Ciocia) nell’ambito delle “operazioni antiterrorismo” durante il sequestro di Aldo Moro.
Le torture furono espressamente “volute dall’alto” e quando la fuga di notizie, rischiò di aprire un caso politico e mediatico la vicenda fu subito messa a tacere con l’inquisizione dei giornalisti che seguivano la vicenda.
Per decenni quello che tutti sapevano è stato coperto dal silenzio e dall’impunità. Nell’interrogatorio reso davanti al Consigliere istruttore del Tribunale di Roma, il 19 giugno 1978, Triaca denuncia le torture subite. Rinviato a giudizio per il reato di calunnia ai danni di ufficiali e agenti di Polizia, viene condannato alla pena detentiva di un anno e dieci mesi di reclusione. La sentenza viene confermata in sede di Appello il 26.10.1984 e passa in giudicato il 4.10.1985.
Il 18 giugno 2013 la Corte d’appello di Perugia accoglie l’istanza di revisione del processo, presentata dai legali di Triaca nel dicembre 2012. Il 15 ottobre 2013 il Tribunale di Perugia revoca la sentenza di condanna precedentemente emessa e assolve Triaca dal reato di calunnia perché il fatto non sussiste. Ordina altresì la trasmissione degli atti alla Procura di Roma per quanto di competenza per la posizione di Nicola Ciocia, l’affissione della sentenza per estratto presso la Casa comunale di Roma e la pubblicazione della sentenza per estratto sul quotidiano La Repubblica.

Riprendiamo oggi la vicenda per vari motivi e in particolare due.
Il 19 giugno ricorre la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero e in tutto il mondo il movimento comunista e rivoluzionario celebra la resistenza dei rivoluzionari prigionieri e promuove la solidarietà di classe, la solidarietà proletaria, nei loro confronti. Anche in Italia la data è tutt’altro che occasione per una “rievocazione storica”: esistono ancora decine di rivoluzionari prigionieri incarcerati negli anni ‘70 e 80 del secolo scorso e con la successiva ondata di arresti contro il movimento comunista e anarchico e da anni prosegue la lotta dei rivoluzionari prigionieri contro il 41 bis. Proprio nelle scorse settimane 2 prigioniere nel carcere dell’Aquila hanno iniziato uno sciopero della fame per denunciare questo regime carcerario. La mobilitazione in loro solidarietà che si sta sviluppando in tutto il paese è un importante legame fra il patrimonio di insegnamenti che il movimento rivoluzionario degli anni ‘70 del secolo scorso ha sedimentato e le prospettive rivoluzionarie di oggi. La Carovana del (nuovo)PCI ha da sempre avuto un ruolo in prima fila nella resistenza alla repressione, nella lotta alla repressione e nella promozione della solidarietà proletaria, anche in ragione delle decine di inchieste per “associazione sovversiva con finalità di terrorismo” con cui per decenni la borghesia ha tentato di distruggerla. Per quali possano essere le differenze ideologiche e organizzative, sosteniamo senza riserve la resistenza di ogni compagno e di ogni compagna contro la repressione dello stato borghese.
La questione della tortura di Stato, inoltre, ha molti legami con Vigilanza Democratica e con la condanna a Rosalba Romano per cui è in corso la campagna di solidarietà: “nel nostro paese è “di fatto” vietato denunciare l’esistenza di un potere occulto, un potere che ha le radici ben piantate nella storia italiana e che con essa si è evoluto senza mai estinguersi. Un potere di natura eversiva che opera nelle pieghe delle istituzioni e dei “corpi democratici”, che si manifesta dietro i “servizi segreti deviati” responsabili dei tanti intrighi e stragi di cui è costellata la nostra storia (da Piazza Fontana alla Uno bianca), dietro i numerosi e crescenti casi di abusi di polizia e gli omicidi di Stato (che colpiscono tanto i comuni cittadini quanto anche “lavoratori in divisa” che perdono la vita nelle caserme o in missione in “circostanze misteriose”), oppure ancora dietro “l’anti-Stato” per quanto riguarda i movimenti, prima di tutto economici, rispetto a questioni di interesse nazionale (dalle grandi opere allo smaltimento dei rifiuti, per fare due esempi).
Non è necessario possedere spiccate capacità cognitive o competenze investigative per rendersi conto che non è possibile parlare solo di “deviazioni”, di singole “mele marce” o di “anti-Stato”: la verità che oggi nel nostro paese non è ancora “di fatto” possibile affermare, è che esiste, compenetrato alle alte sfere, in ogni ambito e contesto, un potere trasversale ai tre sanciti dalla Costituzione e pertanto eversivo.
Il termine “eversivo” non è impropriamente usato, benché esso evochi scenari cileni o argentini e cospirazioni tipo “Rosa dei venti”: l’uso congruo del termine eversivo attiene infatti, stante le condizioni del nostro paese, alla sistematica violazione della Costituzione, alla costante e inesorabile tendenza ad approvare e applicare leggi che ne contraddicono i valori, i principi e i dettami, all’ordinarietà di “errori giudiziari” o “interpretazioni” che, presi insieme e messi in fila, sono qualcosa di più dell’anticamera dell’arbitrio”, afferma Rosalba nella dichiarazione inviata a un convegno organizzato da Mircomega a Fabriano all’inizio di maggio 2019.

Dei due aspetti citati a introduzione, i lettori troveranno riscontro nelle parole di Enrico Triaca. Un compagno che ringraziamo per la disponibilità, ma anche – e soprattutto – per la battaglia di cui è stato ed è protagonista.

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Enrico, vuoi raccontare brevemente, per chi non conosce la tua storia, che anni erano quelli in cui sei stato arrestato, il motivo del tuo arresto e il trattamento speciale che ti è stato riservato?
Gli anni ’70-80 sono stati anni di conflitto e conquiste, un conflitto assai più diffuso di quanto vogliono far credere alle nuove generazioni, ai giovani, ai ragazzi che leggono quegli anni solo attraverso le versioni del potere e dei suoi mezzi di disinformazione. La realtà vera è che in quegli anni non esistevano solo le Brigate Rosse, i “cattivi”, e il sequestro Moro; prima c’erano state le stragi di Stato e le mattanze di contadini e operai ad opera dei “buoni”.
Oggi sono tornate in voga le tesi liquidatorie dei “pezzi deviati dello Stato” o delle “stragi fasciste” …. ma provate a disegnare una torta e cominciate a togliere le fette delle devianze dello Stato, stragisti, aderenti alla P2, collusi con la mafia con la criminalità, la grande finanza, la grande industria, togliete corrotti e tangentisti… ecco, di pulito rimane ben poco! Quanto ai fascisti, essi da sempre sono stati la manovalanza del potere, quelli che fanno il lavoro sporco, così come per le torture, a farle sono i boia ma il mandante è lo Stato.
Oggi sembra che siano esistite solo loro, le BR, fuori da ogni logica e contesto, ma in realtà in quegli anni c’erano centinaia di sigle, di organizzazioni armate e non, e non c’era giorno che non ci fosse una manifestazione, uno sciopero, un’azione o un sabotaggio: è stato un conflitto che ha coinvolto a vario titolo un’intera generazione e non solo. Qualcuno, più intelligentemente e seriamente, lo ha definito “una guerra civile a bassa intensità” e questa definizione rende bene l’idea.
In questo contesto anch’io, come altre migliaia di giovani, operai, studenti, ho fatto le mie scelte e dopo lo scioglimento di Potere Operaio nel quale militavo, sono entrato nelle Brigate Rosse come gestore di una tipografia dal momento che venendo dal mondo del lavoro (artigiano) mi destreggiavo bene anche con mezzi a me sconosciuti.
Venni arrestato il 17/05/1978. Prelevato da casa, mi portano in tipografia per la perquisizione di rito. Lì viene trovato del materiale propagandistico e vengo immediatamente portato in questura (S.Vitale) dove mi perquisiscono, come risulta da un verbale firmato dal capo della DIGOS Domenico Spinella. Nel pomeriggio vengo trasferito in via Castro Pretorio dove comincia l’interrogatorio. Non un interrogatorio di quelli duri come ci si aspetterebbe subito dopo la conclusione fallimentare, da parte loro, di un’azione come quella del sequestro Moro: non avevano la frenesia di sapere, avere informazioni, sembrava più una chiacchierata tra “amici”. Questo non perché fossero “buoni”, ma perché evidentemente era già arrivata la precisa indicazione di tenermi tranquillo, in caldo, fino all’arrivo, verso sera, di quello che poi si scoprirà essere il “professor De Tormentis”. De Tormentis fa qualche battuta, mi dice tra l’altro di essere mio compaesano, dopodiché si apparta con Spinella e confabulano qualcosa. Appena finito dicono agli agenti che può bastare così e di riportarmi in Questura. Usciamo nel cortile dove vedo un furgone: si apre lo sportello laterale e si affacciano due poliziotti con casco antiproiettile e giubbotto che, dopo l’ordine impartito da “De Tormentis” e confermato da Spinella, mi prendono in consegna nello stupore degli agenti che mi tenevano. Vengo quindi caricato sul furgone, mi mettono le manette dietro la schiena, mi bendano steso a terra e il furgone parte. Nessuno parla, si sente solo un leggero bisbiglio e un rumore di armi, di caricatori che vengono inseriti, di carrelli che mettono il colpo in canna. Cerco di capire cosa stia succedendo: “vogliono farmi sparire? Eliminarmi? …. Ma sono stato prelevato da casa e portato in tipografia, il mio arresto è “pubblico” …. – razionalizzi e pensi che non è possibile – Vogliono pestarmi? Ma potevano farlo a Castro Pretorio …. Sono certo che non stiamo andando in Questura …. Dopo una mezz’ora circa, ma calcolare il tempo in certi frangenti è difficile, il furgone si ferma ­- penso di non essere uscito da Roma – mi fanno scendere, saliamo delle scale e mi introducono in una stanza. Vengo spogliato, mi caricano su un tavolo e mi legano alle quattro estremità con le spalle e la testa fuori dal tavolo, accendono la radio con il volume al massimo e comincia “il trattamento”. Un maiale si siede sulla mia pancia, un altro mi solleva la testa e mi tiene il naso otturato, un altro ancora mi inserisce il tubo dell’acqua in bocca… L’istinto è quello di agitarsi nel tentativo di prendere aria, ma si riesce solo a ingoiare acqua. Nessuno parla ad eccezione di “De Tormentis” che fa le domande e ordina quando smettere con “il trattamento” e quando iniziare daccapo. Mi viene somministrato qualcosa, forse è sale, ma non sento alcun sapore. Dopo un po’ che tengo la testa a penzoloni, i muscoli cominciano a farmi male e a ogni movimento sembra che il primo tratto della spina dorsale mi venga strappato dalla carne, dai muscoli, dai nervi.
Dopo un lasso di tempo indefinito comincio a non reagire più. A un certo punto sento un’altra voce che dice di smettere, che può bastare così… Ne nasce una mezza discussione con “De Tormentis” che insiste per continuare. L’altra voce si impone e vengo slegato, massaggiato con l’alcol sulle braccia e sulle spalle, rivestito tra le battute divertite di due maiali. Dopo essersi accertati che la bendatura regga, mi fanno uscire sul pianerottolo dove c’è una sedia sistemata al centro, me la fanno urtare per verificare che io non veda. Mi fanno scendere una rampa di scale e poi un’altra, sulla sinistra, più piccola e meno illuminata, che dà direttamente nel garage. Qui vengo caricato nel furgone e riportato in Questura. Nel cortile vengo sbendato, consegnato a due guardie e portato quindi in cella di sicurezza.
Dopo 3 giorni di permanenza vengo tradotto nelle patrie galere. E qui comincia un’altra serie di torture non più fisiche, ma psicologiche indotte attraverso lo strumento dell’isolamento. Il primo mese praticamente sparisco, nel senso che a nessuno dei miei familiari e avvocati, viene comunicato dove mi trovo. Ogni settimana mi cambiano di carcere e alla fine “ricompaio” in quel di Rebibbia, dove al primo interrogatorio, condotto dal magistrato Achille Gallucci, denuncio le torture subite. Gallucci per tutta risposta, mi avverte che mi beccherò una denuncia per diffamazione delle “forze dell’ordine” se decido di confermare le accuse. Io confermo e lui “mantiene la promessa”. Seguono altri periodi di isolamento, complessivamente 3 anni, con lo scopo di farmi arrivare al processo da pentito. Oggi con l’introduzione del 41 bis, la tortura dell’isolamento è stata istituzionalizzata, è diventata norma, ma all’epoca non era usuale. Mi chiedo a cosa possa servire tenere un essere umano in regime di 41 bis anche dopo 15 anni dai fatti contestati, quando non esistono più organizzazioni e legami. Tale comportamento non può essere liquidato con la bramosia di vendetta pura, esso, così come la tortura, deve servire da monito per i futuri ribelli. Abbiamo assistito recentemente allo show organizzato da Bonafede per l’arresto di Cesare Battisti… Uno spettacolo indegno da parte di chi, all’epoca dei fatti, faceva ancora la piscia nel letto, ma l’occasione è stata troppo succulenta per non approfittarne. E’ l’arte dei lestofanti presentarsi come eroi con il petto gonfio davanti alle telecamere per raccogliere le briciole di una storia che neanche conoscono.

Nicola Ciocia responsabile delle torture che ti sono state inflitte e Salvatore Genova, capo di un’altra squadra speciale, erano alla fine solo esponenti di quel mondo di mezzo tra la mera manovalanza e le cosiddette alte sfere che li dirigevano garantendo loro impunità e riconoscimenti. Quindi non mele marce, ma vera e propria strategia di Stato giustificata dall’ “emergenza terrorismo”. I “terroristi” hanno fatto sicuramente dei morti, torturavano anche? Che differenza tracci tra le BR e uno Stato che per garantire la sicurezza (di chi?) approva e fa ricorso alla tortura quando non anche all’assassinio?
Le Brigate Rosse hanno fatto sicuramente dei morti, come sempre succede, in tutto il mondo, quando c’è un conflitto, così come ne abbiamo subiti. E non solo noi, ma il movimento antagonista tutto. La differenza sta nel fatto che le Brigate Rosse hanno colpito chi, secondo loro, aveva un ruolo nella controrivoluzione e repressione. Al contrario lo Stato “democratico e liberale” ha ammazzato indistintamente militati delle organizzazioni armate, semplici militati di movimento “disarmati”, ragazzini che non si fermavano ai posti di blocco …. fino a mettere bombe nelle piazze e nelle stazioni. Le Brigate Rosse usavano pistole, fucili e mitra, non bombe.
A più riprese lor Signori hanno tentato di far passare la tesi che le Brigate Rosse maltrattavano e torturavano i prigionieri, tesi ovviamente mai provata. Anzi, con la liberazione dello yankee James Lee Dozier hanno dovuto ammettere che i nostri prigionieri facevano colazione con i corn flakes.
Anche qui la verità è ben altra. Nonostante i silenzi, l’omertà i depistaggi, le coperture rispetto alla tortura di Stato, le cronache e persino le sentenze di “tribunali democratici dello Stato di Diritto” dimostrano esattamente che lo Stato si è avvalso della tortura contro i prigionieri politici. Gli abusi non sono stati opera di sbirri “esagitati”, ma ordinati a tavolino dalla politica a precise persone e strutture, persone che erano solo manovalanza certo, ma non per questo meno colpevoli. Persone che sotto il ricatto della carriera, la promessa di posti di prestigio, accettarono di torturare uomini, come spiegò in aula Genova Salvatore nel tentativo di alleggerire la posizione del Boia Ciocia. Non era un caso che li definivamo SERVI DI STATO. E sta proprio nel coinvolgimento dello STATO la difficoltà a fare piena luce su quel periodo. L’opinione pubblica, grazie anche a media e intellettuali, non conosce nulla di quei fatti, nonostante siano passati 40 anni e i responsabili siano quasi tutti morti nei loro letti. La loro debolezza e la vigliaccheria delle autorità non permettono di dire l’unica vera verità, che però possiamo dire noi a voce alta e a viso aperto: LA TORTURA E’ DI STATO!
Per concludere, credo di poter dire che l’etica dimostrata dalle Brigate Rosse nella gestione dei prigionieri, nonostante le difficoltà nel fare e tenere prigionieri in un contesto non certo a noi favorevole – le Brigate Rosse non avevano certo “zone franche”, “zone liberate” dove muoversi liberamente -, la capacità di rispettare comunque gli uomini e trattarli nel rispetto della loro dignità umana (come del resto recita finanche la “democratica” Costituzione), come nel colpire i veri responsabili, ebbene questa capacità e dignità, questo “rispetto delle regole”, seppur in guerra, lor Signori se li sognano soltanto…

Tu hai denunciato al magistrato Achille Gallucci le torture subite e per tutta risposta, hai subito un processo per direttissima e sei stato condannato. Eri cosciente delle coperture di cui godevano i tuoi torturatori? Cosa ti ha spinto ad andare avanti, a percorrere anche la strada dei tribunali?
C’era una sentenza che mi condannava come calunniatore, come uno che si era inventato le torture per la paura di essere considerato infame dai propri compagni. Sentivo quindi la necessità di fare chiarezza sul mio comportamento e percorso e volevo mettere un punto fermo, dopo tante voci e sibili, sull’esistenza di una squadretta di torturatori al soldo dello Stato.
Con questa vicenda non solo si è dimostrato che “la tortura è di Stato”, ma anche che la vigliaccheria aleggia sovrana nei palazzi e dopo 40 anni lor Signori, con la complicità dei mezzi di informazione, ci convivono allegramente.
Va ricordato che quando uscì la mia storia, nel 2012, visto il silenzio che la circondava, decisi di scrivere una lettera aperta all’allora presidente Giorgio Napolitano che fu annunciata da quasi tutti i più importanti quotidiani [nda: la riportiamo in appendice]. Chiedevo al Presidente se aveva qualcosa da dire. Come precisai all’Esimio Presidente, Lui non doveva rivolgersi a me, dirmi qualche bella parolina di circostanza perché io non avevo bisogno delle sue parole, ma doveva fare chiarezza, dire la verità al suo “Popolo Sovrano”. Questo credo sia il COMPITO, il DOVERE, l’OBBLIGO morale di un Presidente della REPUBBLICA ancor più se Esimio ed oggi Emerito. Ma il Presidente non ebbe nulla da dire e a nessun giornalista o intellettuale e ciò sembrò strano. Inoltre la mia iniziativa ha voluto essere anche il tentativo di stimolare un dibattito pubblico. Rimanendo la questione circoscritta al mio caso essa non rendeva e non rende affatto l’idea di ciò che è successo. Io ho potuto chiedere la riapertura del processo e in ragione di ciò sono riuscito ad avere un minimo di visibilità. Attenzione: ho ottenuto visibilità, non giustizia! Ma è bene che si sappia che sono stati centinaia i prigionieri politici torturati e loro, al contrario di me, non hanno avuto neppure questa possibilità.

La Corte d’Appello di Perugia, nelle motivazioni della sentenza del 15 ottobre 2013, la n.1130/13 (siglata dai Magistrati Ricciarelli, Venarucci e Falfari), ha sancito che le denunce dei torturati erano vere. Ti aspettavi una sentenza di tale portata? Che valore pensi essa abbia?
Quello che ha spinto i Giudici in questa direzione credo sia stata la mole di testimonianze portate in aula, addirittura Giuliano Amato, in un suo libro, ammise l’esistenza delle torture e secondo lui anche le Procure Antiterrorismo ne erano a conoscenza. La classe dominante non aveva nessuna intenzione di far affiorare la questione, ma visto che era uscita, meglio chiuderla il più in fretta possibile riconoscendo subito l’uso della tortura e quindi la mia assoluzione. In caso contrario, una conferma della mia condanna per calunnia, avrebbe significato ricorsi e quindi ancora dibattiti. Con la mia assoluzione “giustizia è fatta, andate in pace e possibilmente in silenzio”. Per meglio chiarire, va ricordato che quando uscì il libro “Colpo al cuore” di Nicola Rao nel quale parla, coperto ancora dall’anonimato, il “Professor De Tormentis”, il programma di Rai 3 “Chi l’ha visto” decise di dedicare alcune puntate a scoprire chi si celava dietro questo soprannome. Ci fu una mia intervista e le dichiarazioni di Salvatore Genova e in studio era presente Nicola Rao. Bene, la trasmissione fu interrotta in diretta subito dopo la mia intervista e le dichiarazioni di Genova e a quella puntata non ne seguirono altre. Gira voce che quella sera il centralino della Rai fosse rovente …

Nicola Ciocia ha continuato indisturbato le sue attività, compresa quella di avvocato; Genova a dispetto delle sue ammissioni, si è salvato da una condanna penale grazie all’immunità parlamentare intervenuta con l’elezione a deputato come indipendente nelle liste del PSDI e uno dei poliziotti che parteciparono al tuo arresto, Carlo De Stefano, è arrivato a ricoprire l’incarico di sottosegretario agli Interni e in questo veste ha finanche risposto a un’interpellanza parlamentare, presentata dalla deputata radicale Rita Bernardini sulle torture da te subite. Sembra che nonostante le verità storiche accertate nulla cambi e anzi il meccanismo continui esattamente nello stesso modo se tortura (e di massa questa volta) si è potuta perpetrare per esempio anche al G8 di Genova nel 2001 e se, nonostante le condanne in merito pervenute da una Corte Europea, mandanti ed esecutori sono rimasti non solo impuniti ma addirittura promossi a incarichi più elevati. E’ davvero tutto uguale? Ha senso avere fiducia oggi in un reale cambiamento?
Tutto è uguale se non esiste un movimento in grado di modificare le cose presenti. Bisogna avere fiducia in un cambiamento, ma con la coscienza che non saranno certo loro, con la loro “volontà democratica”, a portarlo avanti. Bisogna impegnarsi in prima persona perché la libertà e i diritti non ce li regala nessuno, se qualcuno dice di farlo leggete bene tra le righe perché da qualche parte c’è nascosto il codicillo che vi renderà schiavi. L’uso della tortura c’è stato e continuerà ad esserci ogni volta che il potere si sentirà in pericolo.

Pier Vittorio Buffa e Luca Villoresi, giornalisti de L’Espresso e di Repubblica nel 1982 furono arrestati per aver indagato e pubblicato articoli sull’utilizzo della tortura. Il clima e il contesto politico sono profondamente mutati, ma oggi al pari di ieri chi svolge un lavoro di inchiesta e denuncia sugli abusi di polizia e di sostegno alle vittime e familiari subisce tentativi di intimidazione e anche processi giudiziari, vedi la vicenda della nostra compagna Rosalba di Vigilanza Democratica o l’attacco portato a la Redazione di PerUnaltraCittà per aver pubblicato due articoli sulla morte violenta di Riccardo Magherini.
Tu hai firmato l’appello in solidarietà con Rosalba, che è sostanzialmente un appello a far valere quanto resta delle parti progressiste di una Costituzione frutto della Resistenza, perché lo hai fatto?
Quella sulla tortura in Italia è ancora una ferita aperta, quantomeno la nostra è ancora sanguinante a causa dell’omertà di Stato che circonda l’intera vicenda, 35 anni di uso della tortura, dal 1975 con la tortura contro Alberto Bonoconto (a quanto pare sempre ad opera del “Professor De Tormentis”) al G8 di Genova, fino ai giorni nostri. E’ un tempo troppo lungo per potersi chiudere semplicemente con una sentenza e il varo di una finta legge sulla tortura. Quindi ben venga qualsiasi iniziativa in proposito. IL SILENZIO E’ MAFIA……dicono!!!

Ci sono anche oggi battaglie condotte da persone tenaci, come Ilaria Cucchi (per citarne solo una), che hanno sfidato ostacoli all’apparenza insormontabili, per arrivare a porre all’attenzione pubblica dei gravi crimini compiuti da chi indossava un’uniforme e sulle coperture e depistaggi che ci stavano dietro. Ilaria ce l’avrebbe fatta se attorno a lei non ci fossero state centinaia e migliaia di persone che hanno dato voce alla sua lotta? Quanto è importante la solidarietà? Quanto ha contato per te?
Ilaria non ce l’avrebbe fatta senza la solidarietà che ha ricevuto da parte di cittadini e mezzi di informazione. La solidarietà è sicuramente importantissima anche per far conoscere a un’opinione pubblica più ampia possibile i fatti, per mantenere viva l’attenzione su argomenti che altrimenti verrebbero subito messi da parte (come nel mio caso). Ma nel mio, nostro caso, è più complicato perché mentre per Ilaria, così come per tutti i casi noti di cittadini ammazzati nelle prigioni di Stato, sui marciapiedi, nelle caserme, alla fine si può tentare di giustificare il tutto con la tesi delle “mele marce”, per noi questo non vale, questa teoria non si può usare perché è la politica ad essere chiamata direttamente in causa, è essa il MANDANTE, e in questo caso, i nostri “valorosi” intellettuali e giornalisti preferiscono non sporcarsi le mani. Prendersela con quattro carabinieri cattivi è un conto, ma per mettere sotto accusa il potere ci vuole un’altra stoffa, un’altra etica professionale.

Permettetemi di concludere questa “intervista lugubre”, in cui si parla solo di repressione, carcere, torture, 41 Bis e omicidi con una nota positiva. Da sempre il potere ha usato la repressione e la tortura ogni volta che si è sentito minacciato, ma questi mezzi non hanno mai impedito ai popoli di ribellarsi e lottare per la propria libertà.

APPENDICE

Lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Onorevole Presidente scrivo a Lei in quanto Presidente della Repubblica, Capo della Magistratura e uomo politico che ha attraversato l’intera Storia, fino ad oggi, della Repubblica Italiana.

E’ certamente per Lei una degna chiusura di carriera la Presidenza Quirinalizia, come immagino qualsiasi politico agogni per se stesso, anche se, lavoro faticoso, specie in questo inizio di Secolo, in cui decisioni forti sono state prese, come il dover imporre un Professore alla guida del Paese per risolvere i problemi che ci angustiano.

E a ben vedere non è la prima volta che l’Italia si affida a “Professori” per risolvere i propri problemi, già negli anni 70/80 lo Stato fece ricorso ad un “Professore”, in questo caso, al famigerato “Professor de Tormentis” ovvero un ex Funzionario di Stato, dell’UCIGOS, così soprannominato dai suoi colleghi e amici. Tale “Professore” ha di recente dichiarato, ma in realtà ci sono anche le testimonianze dell’ex Commissario Salvatore Genova, di aver praticato la tortura contro prigionieri politici di quegli anni. Si è vantato (dietro anonimato) di essere lui il Torturatore di Stato, il Professionista della Tortura, che veniva inviato nelle varie Questure Italiane quando si ritenevano necessari i “servigi” suoi, e dei suoi collaboratori.

Da tali confessioni e testimonianze si evince che tale personaggio ha goduto della protezione e copertura della Politica, e non solo.

Tale personaggio, che oggi sappiamo chiamarsi Nicola Ciocia, ha confessato di avermi torturato; torture che io denunciai di aver subito nel 1978 e per la cui denuncia fui, oltretutto, condannato per calunnia.

Oggi chiedo la revisione di quella condanna, perché la verità venga ristabilita, ma visto il silenzio, POLITICO, che sta accompagnato questa vicenda dopo che Stampa e Televisione ne hanno denunciato l’avvenimento, non nutro molta speranza nell’esito positivo di questa storia. Pur tuttavia, è una strada che sento di dover percorrere, anche perché ci sono personaggi, coinvolti, o che quanto meno sanno, che ancora oggi ricoprono ruoli Istituzionali, e per contro ci sono ancora prigionieri che sono in carcere dopo 30 anni, dopo aver subito torture dallo Stato che Lei, magnificamente, oggi rappresenta.

Scrivo a Lei Onorevole Presidente perché convinto che questa storia non è, e non può essere, solo, storia giudiziaria, se è vero, quel che ci dicono gli ex Funzionari, questa volta non si può licenziare la cosa con frasi tipo: parti deviate dello Stato, mele marce o schegge impazzite. Questa volta è lo Stato tutto ad essere coinvolto, la Politica che ordinò le torture, i “Bravi” tutori dell’ordine che le eseguirono, la magistratura che li assolse, i media che li coprirono. E capisco anche le difficoltà alle quali dovete far fronte, per 30 anni avete raccontato al Popolo di aver vinto usando, solo, i mezzi e gli strumenti che la legge e la Costituzione vi consentivano, ma é proprio in questi frangenti che si misura la DIGNITA’ e AUTOREVOLEZZA di una persona, di uno STATO.

Lei oltre ad essere l’attuale Presidente della Repubblica è stato, anche, un membro autorevole del PCI, Ministro dell’ Interno e Presidente della Camera, sarebbe quindi logico e coerente un suo intervento; trovo paradossale che in una Società Civile, uno Stato di Diritto, come si pretende l’Italia, la società civile si interroghi su questi fatti, di cui non serve sottolineare la gravità, mentre la politica e quindi Lei, che ne rappresenta la massima espressione, taccia; la gravità Presidente non risiede solo nel fatto che dei prigionieri 30 anni fa venivano torturati in questo paese, ma nel fatto che tali pratiche si sono succedute nel tempo; ancora oggi ragazzi vengono massacrati e uccisi nelle caserme, questure, carceri e sui marciapiedi.

Lei poco tempo fa ebbe a dire che “i processi celebrati in quegli anni sono stati processi svolti in uno Stato di Diritto” sottintendendo, così almeno io l’ho letto, processi giusti, equi, ebbene io un dubbio ce lo avrei e credo che anche a Lei dovrebbe venirle leggendo queste righe, ed a maggior ragione, leggendo le confessioni di Nicola Ciocia e Salvatore Genova, ex Funzionari di Stato e non “terroristi”.

Onorevole Presidente le trascrivo un articolo, sul processo per calunnia ai miei danni, di quello che fu l’organo di informazione del suo partito, il PCI, L’UNITA’ dell’8 novembre 1978: «L’avvocato Alfonso Cascone ha invece avanzato apertamente il sospetto che le accuse di Triaca alla polizia fossero false e che il suo assistito avesse mentito poiché – pensando di essere considerato dalle BR un delatore – temeva rappresaglie. Il reato di calunnia, ha detto quindi il legale, sarebbe stato compiuto in “stato di necessità”. Nonostante i dubbi suscitati dal comportamento della polizia durante il processo, dunque, uno scorcio di verità è arrivata inaspettatamente proprio da uno dei difensori del tipografo delle BR».


L’avvocato Alfonso Cascone presentò una denuncia contro il giornale che venne, immediatamente, archiviata.

Anche l’attuale Esecutivo è stato investito della questione con una interpellanza parlamentare, ma la risposta è stata elusiva e fuorviante, oltretutto affidata ad un personaggio, ironia della sorte, il cui nome era già, comunque, apparso nella vicenda che mi riguarda.

Ogni volta che una vetrina viene danneggiata in un Corteo, Politici, Magistrati, Sindacalisti, Opinionisti, Intellettuali, si accapigliano a chi pronuncia la frase più “accattivante” di condanna: fiumi di inchiostro invadono le colonne dei giornali per giorni, per contro solo trafiletti quando ad usare la violenza è un corpo o lo Stato tutto; e la differenza si nota Signor Presidente e rende risibile qualsiasi frase ad effetto pronunciata contro la violenza.

E di frasi “IMPEGNATIVE” ne sono state pronunciate tante, ne riporto solo due:

Alcuna ragione di Stato può giustificare ritardi nell’accertamento dei fatti e delle responsabilità, l’unica ragione di Stato è la verità Mario Monti, Presidente del Consiglio (23 maggio 2012) Parole riprese e confermate da Anna Maria Cancellieri, Ministro degli Interni. Con riferimento all’attentato alla scuola di Brindisi

Non ci sono ragioni di dissenso politico e tensione sociale che possano giustificare ribellismi, illegalismi, forme di ricorso alla forza destinate a sfociare in atti di terrorismo”. Giorgio Napolitano, Presidente della Repubblica (09 maggio 2012). In occasione della giornata della memoria delle vittime del terrorismo

Restando a sua disposizione per ogni eventuale altro chiarimento le invio i miei più Cordiali Saluti

Enrico Triaca, dicembra 2012

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