Nazionalizzare Alitalia: il futuro dipende dalla mobilitazione dei lavoratori, non dalle giravolte del governo

 

Il 21 maggio si è svolto lo sciopero generale del trasporto aereo, un’iniziativa particolare per due motivi: il primo è che è stato indetto in modo unitario sia dai sindacati di base (CUB e USB) che dai sindacati di regime (CGIL, CISL, UIL e UGL) e il secondo è l’alta adesione, fra l’80 e il 90% dei lavoratori del settore, anzitutto tra i dipendenti Alitalia, che è la principale azienda del trasporto aereo italiano. Il successo dello sciopero pone la possibilità della ripresa della mobilitazione dei lavoratori Alitalia su ampia scala dopo che le generose mobilitazioni degli anni passati si erano esaurite nell’ultimo periodo. Per favorirla affrontiamo due questioni che abbiamo raccolto parlando con i lavoratori di Fiumicino durante l’intervento ordinario agli ingressi dell’aeroporto o durante le manifestazioni dei mesi scorsi.

  1. Che fine ha fatto la nazionalizzazione di Alitalia? La mobilitazione dei lavoratori Alitalia ha avuto un riflusso da quando si è insediato il governo M5S-Lega. Il motivo è comprensibile: questi lavoratori avevano imposto con la mobilitazione l’inserimento della nazionalizzazione di Alitalia nel programma elettorale del M5S e i numerosi interventi di esponenti di primo piano a sostegno di questa ipotesi hanno generato un clima di consenso (tradotto nel gran numero di voti raccolti alle elezioni del 4 marzo 2018) e poi di fiduciosa attesa (“lasciamoli lavorare”), una volta che il governo è stato formato; un clima progressivamente cambiato in sfiducia e rassegnazione man mano che la promessa della nazionalizzazione perdeva terreno in favore di un “nuovo progetto” del M5S per Alitalia. Il progetto consiste nella fondazione di una nuova Alitalia con un azionariato composto per più della metà da soci pubblici (con Ferrovie dello Stato a capeggiare la cordata e in seconda posizione il Ministero dell’Economia e delle Finanze dell’uomo delle Larghe Intese, Giovanni Tria) e per la restante parte da soci privati (tra cui, per il momento, figura soltanto la compagnia aerea USA Delta Airlines, interessata a migliorare la propria posizione nel mercato del trasporto aereo italiano ed europeo più che al rilancio di Alitalia). Questo progetto è basato sull’illusione di poter fondare una nuova Alitalia in cui non siano intaccate le condizioni strutturali dell’azienda e i diritti dei lavoratori, ma in cui non siano neppure danneggiate le prerogative di industriali e finanzieri nostrani ed esteri. Da qui la ricerca da parte di Di Maio e del M5S di inesistenti capitalisti “buoni samaritani”. In compenso si sono fatti avanti nemici acerrimi dei lavoratori Alitalia e di questo governo come i gruppi capitalisti che fanno capo a Carlo Toto (concessionario di reti autostradali in centro Italia) e ai Benetton (padroni del gruppo Atlantia a cui il governo M5S-Lega, dopo il crollo del Ponte Morandi, ha giurato di voler sottrarre le concessioni autostradali). Sono gruppi capitalisti che già in passato si sono avventati sul trasporto aereo italiano, con ruoli di prima fila nell’operazione berlusconiana dei cosiddetti “capitani coraggiosi” da cui ne sono usciti rimpinzati delle ricchezze saccheggiate. Il loro ingresso nell’azionariato della nuova Alitalia, sponsorizzato dalla stampa borghese, dalle forze delle Larghe Intese e dalla Lega, è la garanzia che la nuova Alitalia continui sul suo corso disastroso. Il fatto che esponenti autorevoli del M5S come Giulia Lupo, senatrice e lavoratrice Alitalia, dal suo profilo facebook il Primo Maggio ha invocato “si vada avanti con FS, Atlantia, Delta e MEF” ci rivela a che punto sono le promesse di nazionalizzazione. Sono al punto che la compagine di governo M5S per non osare mettersi, fino in fondo, al servizio dei lavoratori Alitalia e delle loro rivendicazioni sta finendo col fare l’esatto opposto di quanto promesso in campagna elettorale. Riportando Alitalia in mani tutt’altro che pubbliche come quelle di capitalisti come Toto e i Benetton.

  1. Perché la mobilitazione dei lavoratori Alitalia stenta a riprendere e sembra che la disponibilità alla lotta sia svanita? Dalla primavera 2017 ad oggi le condizioni dei lavoratori Alitalia e del trasporto aereo sono peggiorate. L’aeroporto di Fiumicino, la più grande concentrazione nazionale di lavoratori, offre una larga gamma di esempi: l’uso illecito della cassa integrazione, la chiusura del servizio mensa per i lavoratori, il precariato e il regime da caserma dilaganti e i licenziamenti continui di lavoratori nelle tante aziende nate nel corso del decennale smantellamento di Alitalia. Nonostante ciò la mobilitazione dei lavoratori è andata diminuendo, a dimostrazione che l’aspetto principale per alimentare combattività, per alimentare la mobilitazione, per promuovere la lotta non sono le condizioni che peggiorano. La questione principale è l’esistenza di gruppo di lavoratori (non per forza sindacalisti, non per forza “esperti”, non per forza già riconosciuti e autorevoli) che si pone l’obiettivo di orientare i compagni di lavoro sulla via dell’organizzazione e della mobilitazione e contrastare tanto la sfiducia e il disfattismo quanto il codismo e la fiducia immotivata rispetto al governo. La questione attiene al fatto che continuare a giocare in difesa e a resistere, in questa fase, non ha più senso né prospettiva. Oggi c’è bisogno di passare all’attacco, di organizzare e mobilitare i lavoratori per costringere un governo che, piaccia o no, sta in piedi grazie al consenso della classe operaia e con questa deve fare i conti, a mantener fede al mandato elettorale ricevuto: nazionalizzare Alitalia! L’impreparazione a costruire una mobilitazione con queste caratteristiche da parte dei centri che hanno invece promosso la mobilitazione di difesa fino ad oggi, è il fattore che frena lo sviluppo della mobilitazione.

Il nesso fra la prima e la seconda questione. Sono i lavoratori Alitalia che devono far sentire le campane della lotta di classe al governo M5S-Lega. Tanto più si svilupperà la pressione dei lavoratori organizzati sul governo tanto più il governo sarà costretto a correggere gli inconsistenti e nocivi progetti che fin qui ha cercato di portare avanti. Questa è anche la condizione per mettere all’angolo tutte le forze che lavorano perché lo spolpamento di Alitalia continui.

In Alitalia non mancano lavoratori disposti a lottare e neppure sindacalisti onesti e combattivi, a loro il P.CARC porta il contributo di analisi ed esperienza per riaffermare il principio che il futuro non dipende dal governo e dalle sue giravolte, ma da quello che i lavoratori mettono in campo per forzare i suoi limiti e conquistare la nazionalizzazione.

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