Editoriale

Questione di prospettive

Quando è ufficialmente iniziata la guerra in Ucraina, nel 2022, si è definitivamente infranto il tabù della guerra nel cuore dell’Europa.
A ben vedere, più che un tabù era un logoro feticcio perché la guerra nel cuore dell’Europa – guerra dispiegata e sanguinosa – c’era già stata varie volte dopo il 1945: quando la Comunità Internazionale ha fatto scempio della ex Jugoslavia (1991-1995), quando la Nato ha bombardato a tappeto Belgrado e la Serbia per installare e difendere il suo protettorato in Kosovo (1999) e quando, dal 2014 al 2022, proprio i governi ucraini hanno attaccato le popolazioni del Donbass facendo strage di civili.
Nel tentativo di mobilitare l’opinione pubblica a intrupparsi nella guerra contro la Federazione Russa, “le colombe” ai vertici della Ue avevano rimesso mano al vecchio arnese della propaganda: sconfiggere Putin per scongiurare la guerra nel cuore dell’Europa! Ma oggi, dopo due anni di guerra e incalcolabili conseguenze, sono proprio il presidente francese Macron, la presidentessa della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel – cioè i rappresentanti dei gruppi imperialisti franco-tedeschi che comandano nella Ue che alimentano, con la bava alla bocca, la spirale bellica: produrre più armi, inviare più uomini sul campo e lustrare le testate atomiche per “sconfiggere la Russia”.
Una svolta di coerenza che sembra mettere in ombra persino i falchi dei gruppi imperialisti Usa che, sebbene di profitti sulle macerie delle guerre nel cuore dell’Europa siano specialisti e campioni, sono alle prese con le conseguenze dell’avere come presidente un demente acclarato e dal trovarsi nel pieno di una campagna elettorale – le elezioni presidenziali si terranno a novembre – che alimenta la guerra civile in corso nel paese.

Dopo l’attacco condotto dalla resistenza palestinese il 7 ottobre, i sionisti che governano lo Stato d’Israele, con il sostegno delle “colombe” della Ue e dei falchi degli Usa, hanno avviato una rappresaglia in stile nazista contro il popolo palestinese, in particolare contro donne e bambini, motivandola con la necessità di annientare Hamas.
Ma imputare ad Hamas le responsabilità della situazione in Medio Oriente è una bufala bella e buona: Hamas è stata fondata nel 1987, mentre le conseguenze del sionismo (imposizione per via militare dello Stato d’Israele, occupazione – per via militare – di nuovi territori, apartheid, ecc.) vanno avanti da oltre settant’anni.
“Estirpare Hamas” è il pretesto che i sionisti usano per cercare di estirpare TUTTA la resistenza palestinese. Ma per farlo – obiettivo comunque irrealizzabile – non c’è altro modo che sterminare l’intero popolo palestinese.
Soltanto i complici e i sostenitori dei criminali sionisti che governano lo Stato d’Israele possono giocare con le parole per negare che in Palestina è in corso un genocidio.

Guerra nel cuore dell’Europa e genocidio in Palestina. Ci sono certamente altri elementi da considerare per inquadrare più nel dettaglio la strada che la Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue ha imposto al mondo – mentre scriviamo, i soccorsi stanno ancora estraendo corpi dal Crocus Center di Mosca dopo l’attentato del 22 marzo – ma bastano anche solo questi due fatti per capire la direzione generale verso cui marciamo e per mettere le cose con i piedi per terra anche rispetto alla situazione particolare del nostro paese.

L’Italia è ufficialmente in guerra. Se sul piano sostanziale i cambiamenti sono limitati (l’Italia sosteneva già attivamente le manovre militari della Nato e appoggia da sempre il regime sionista d’Israele), l’approvazione da parte del parlamento delle missioni militari europee nel Mar Rosso contro gli Houti rappresenta un ulteriore passo avanti nell’aperta violazione della Costituzione – attenzione che la responsabilità è tanto del governo Meloni quanto del Pd e del M5s: hanno votato tutti a favore – e imprime una nuova spinta alla spirale di guerra: economia di guerra, propaganda militarista, aumento esponenziale della repressione per chi protesta.
A dimostrazione del fatto che tutti i partiti delle Larghe Intese sono d’accordo sul ruolo che deve svolgere l’Italia, è utile sottolineare che neppure l’aver colto Crosetto e Tajani con le mani nel sacco della fornitura di armi a Israele, continuata nonostante al nostro paese sia costituzionalmente precluso il sostegno militare a un paese belligerante, è bastato per suscitare la reazione delle “opposizioni”. Questa è solo l’ultima conferma, in ordine di tempo, che l’opposizione alla guerra può svilupparsi efficacemente solo su iniziativa delle masse popolari organizzate e attraverso la loro mobilitazione.

Altreconomia ha smascherato le balle del governo Meloni. L’Italia prosegue l’esportazione di armi verso Israele nonostante il ministro della difesa Crosetto e il ministro degli esteri Tajani ne avessero assicurato la sospensione. A dicembre, nel pieno dei bombardamenti israeliani di Gaza, l’export italiano di armi ha toccato quota 1.3 milioni di euro. Di questa cifra, 1 milione di euro riguarda armi e munizioni a uso militare.

La mobilitazione contro la guerra è già in corso e sta crescendo.
L’iniziativa di gruppi di lavoratori per bloccare il traffico di armi nei porti italiani (di cui il Collettivo Autonomo Lavoratori Porto di Genova è capofila); le iniziative degli studenti per sospendere la collaborazione delle università italiane con lo Stato sionista di Israele; i movimenti contro le basi e le installazioni della Nato, i poligoni militari e lo stoccaggio di armi nucleari in territorio italiano; le manifestazioni in solidarietà al popolo palestinese e in sostegno alla sua resistenza sono tutte manifestazioni particolari di un movimento che cresce e che inevitabilmente si svilupperà man mano che la terza guerra mondiale promossa dai gruppi imperialisti Usa, sionisti e Ue avanza.
Che questo movimento si sviluppi velocemente e in modo coerente rispetto alla gravità della situazione dipende dalle prospettive che esso si dà e dal ruolo che gli conferiscono i promotori e, in particolare, dalle prospettive che gli conferiscono i comunisti.

Anzitutto, non può essere un movimento che si basa sulla prospettiva di rivendicare alla Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue di fare qualcosa di diverso da quello che sta facendo.
La borghesia imperialista non agisce per “il bene dell’umanità”, è anzi disposta a qualunque cosa per difendere il suo ruolo di classe dominante e i suoi interessi. Di conseguenza, non si tratta neppure di rivendicare al governo italiano – sia al governo Meloni che a un altro eventuale governo delle Larghe Intese – di togliere il sostegno alle manovre della Comunità Internazionale, poiché tutti i partiti delle Larghe Intese, pur con risibili differenze, ne sono pedine e complici.
Il movimento contro la guerra promossa dalla Comunità Internazionale degli imperialisti Usa, sionisti e Ue è per sua natura un movimento politico e per svilupparsi velocemente e in modo coerente con la gravità della situazione deve porsi l’obiettivo di eliminare i governi della guerra e della misera e di imporre un governo di emergenza che sottragga l’Italia alla spirale della terza guerra mondiale.

In secondo luogo, non può essere un movimento “di parrocchie” in reciproca concorrenza sul campo elettorale o sindacale.
La situazione in cui siamo immersi IMPONE responsabilità e spirito unitario. A questo proposito, si pone la necessità di fare passi avanti nell’imparare a gestire e dirigere il dibattito politico nel movimento comunista, nel movimento sindacale e nel movimento popolare. Un dibattito franco, cioè leale e serio, e aperto, cioè senza sconti e reticenze.
Più si sviluppa il dibattito politico tanto migliori sono le condizioni per l’unità d’azione sul terreno pratico.

In terzo luogo, è un movimento che deve liberarsi dal peso della sfiducia e dello scetticismo e conquistare fiducia nelle sue forze e capacità, fiducia nella giustezza dei suoi obiettivi e nella legittimità delle sue pratiche. Gli imperialisti trascinano il mondo verso la distruzione e tutto ciò che è coerente con l’obiettivo di impedirlo e di eliminare l’attuale classe dominante è giusto e legittimo.

Dai tre aspetti è possibile trarre una sintesi. Le masse popolari organizzate possono riuscire a imporre un loro governo di emergenza e liberare il paese dalla Nato, dai sionisti e dalla Ue a condizione che i comunisti per primi si liberino della rassegnazione e della sfiducia, unici veri ostacoli alla prospettiva di riscossa che cova fra le manovre di guerra e le macerie di Gaza.
Ai comunisti il compito di pensare e agire come avanguardia e di assumersi la responsabilità di portare il movimento popolare dalla difesa all’attacco.

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