La classe operaia deve imporsi nella campagna elettorale

In estate è proseguito a grandi passi lo smantellamento dell’apparato produttivo del paese. Da Nord a Sud si moltiplicano le vertenze e quelle già in corso, invece di avvicinarsi a una risoluzione positiva, si aggravano. Ogni accordo firmato tra sindacati, aziende e istituzioni viene sistematicamente eluso da padroni e padroncini, nell’impunità assoluta e con il benestare di tutte le componenti delle Larghe Intese.

Un esempio su tutti è quello della Whirlpool – 4.000 dipendenti in Italia – che, dopo aver intascato milioni di euro di contributi statali, essersi rimangiata tutti gli accordi firmati negli anni e aver chiuso lo stabilimento di Napoli, già lo scorso aprile ha messo in vendita tutte le sue attività produttive, di ricerca e commerciali nell’area Emea (Europa, Medio Oriente e Africa). Il 17 agosto la società ha inoltre incaricato il vicepresidente esecutivo e presidente dell’area Emea, Gilles Morel, di chiudere l’operazione di dismissione delle attività entro il 30 giugno 2024 (in cambio di un lauto bonus di 3 milioni di euro). Ma ovunque i capitalisti cercano di licenziare, chiudere o delocalizzare nasce anche un focolaio di lotta, grande o piccolo che sia.

In vista delle elezioni del 25 settembre, compito delle liste che si presentano in opposizione alle Larghe Intese (da Unione Popolare a Italia Sovrana e Popolare) è sviluppare questi focolai e sostenere al massimo grado possibile le lotte dei lavoratori, alimentare la loro organizzazione, utilizzare l’attenzione mediatica di cui dispongono per dare voce e spazio alle loro mobilitazioni, farsi garanti delle azioni anche radicali che vorranno intraprendere. NO alle passerelle per ottenere voti, SI al sostegno concreto!

Qua sotto indichiamo alcune vertenze (il punto della situazione è aggiornato a fine agosto) che i candidati delle liste contro le Larghe Intese devono sostenere. Sono chiamati a farlo dai lavoratori stessi, dalle masse popolari. È la realtà che lo impone e, tra parentesi, è per loro anche il modo migliore per riscuotere fiducia sui loro programmi: la prova del nove è, infatti, nel sostegno concreto che essi danno alle mobilitazioni operaie e popolari.

Ansaldo Energia, Genova – azienda strategica nel campo della fornitura, installazione e service di impianti e componenti per la generazione di energia. Controllata all’88% da Cassa Depositi e Prestiti, conta 1.700 dipendenti diretti e 4.000 nell’indotto. Il 1° agosto l’amministratore delegato, Giuseppe Marino, ha annunciato che il primo semestre 2022 si era chiuso con una perdita di 442 milioni, paventando una significativa riduzione delle ore di lavoro nei prossimi mesi e, implicitamente, la chiusura. Il giorno successivo gli operai si sono riuniti in assemblea davanti ai cancelli della fabbrica e poi in corteo hanno bloccato il casello autostradale di Genova ovest. Presenti oltre 1.000 persone, tra cui operai dell’ex-ILVA e di Fincantieri. La manifestazione si è conclusa chiamando a future mobilitazioni in autunno.

Wärtsilä, Trieste – 970 dipendenti. Il 14 luglio la multinazionale finlandese ha annunciato 451 esuberi nello stabilimento, con la conseguente chiusura della linea produttiva dei motori navali, decisione confermata nella riunione al MISE del 27 luglio. Dal giorno dell’annuncio i lavoratori sono in presidio permanente davanti ai cancelli dell’azienda. Il 4 agosto si è tenuto lo sciopero generale di 8 ore indetto in tutti gli impianti italiani del gruppo (Genova, Napoli, Taranto e Cuneo), con manifestazione nazionale a Trieste e 2.000 persone in piazza. Il 19 agosto i sindacati metalmeccanici hanno depositato presso il Tribunale di Trieste un ricorso per attività antisindacale. Il 27 agosto anche i portuali di Trieste hanno dichiarato sciopero a oltranza in solidarietà, rifiutandosi di caricare i 12 motori navali della Wärtsilä già acquistati dalla sudcoreana Daewoo. Infine, gli operai hanno lanciato una nuova mobilitazione a Trieste per il 3 settembre.

QF (ex GKN), Campi Bisenzio (FI) – 350 lavoratori. Il nuovo padrone Francesco Borgomeo continua a fare il gioco delle tre carte, trascinando gli operai a tavoli del Mise inconcludenti (l’ultimo il 4 agosto) e non rispettando nemmeno un punto dell’accordo quadro firmato a gennaio. Oltre a questo, con la complicità delle istituzioni e delle Forze dell’Ordine, ha provato a far sgomberare lo stabilimento occupato dagli operai (dando loro la colpa dei ritardi nella reindustrializzazione) e a far entrare i suoi scagnozzi – subito scoperti dai lavoratori – per procedere con lo svuotamento del magazzino.

Ma gli operai non hanno ceduto di un passo e, in occasione dell’assemblea pubblica convocata in fabbrica il 25 agosto, hanno dichiarato che il prossimo incontro convocato al Mise il 31 agosto segnerà uno spartiacque: i lavoratori non sono più disposti ad andare di tavolo in tavolo senza concludere niente, aprendo la strada alla morte lenta dell’azienda.

Intanto il Collettivo di Fabbrica ha continuato a organizzare iniziative e a partecipare alle mobilitazioni popolari in tutto il paese, facendo vivere la parola d’ordine della convergenza e della solidarietà proletaria. Il 23 luglio ha partecipato alla manifestazione contro gli arresti dei sindacalisti del Si Cobas e dell’USB a Piacenza. Ad agosto ha proseguito il tour di presentazione del libro Insorgiamo all’interno di feste politiche (il 13 agosto era alla Festa nazionale della Riscossa Popolare a Massa), centri sociali, circoli ARCI, ecc.

Il 3 settembre parteciperà alla mobilitazione a Trieste in solidarietà agli operai della Wärtsilä; l’8 terrà in fabbrica una discussione insieme ai compagni degli Stati Genderali; il 10 prenderà parte alla Marcia per il Clima a Venezia e al Climate Camp, in solidarietà alle reti ambientaliste del paese. Mentre per il 22 ottobre ha già dato appuntamento a Bologna per una manifestazione nazionale.

Il 25 agosto il Collettivo di Fabbrica GKN ha tenuto un’assemblea pubblica nello stabilimento, la prima dopo la “pausa” agostana. L’incontro è servito sia ad aggiornare sugli sviluppi della lotta in corso, sia per presentare il Climate Camp che si terrà a Venezia dal 7 all’11 settembre e la Climate March del 10 settembre. 
Erano presenti alcuni compagni responsabili dell’organizzazione del Camp che hanno illustrato le varie attività in programma, ma soprattutto sono intervenuti in merito alla crisi climatica causata dal sistema capitalista. In questi ultimi mesi, infatti, è stato evidente per tutti che tra siccità e bombe d’acqua, non possiamo far finta che non esista un’emergenza climatica. La crisi energetica dovuta al conflitto in Ucraina e alle politiche sconsiderate dei governi dei paesi imperialisti aggrava la situazione. Ma soprattutto i compagni hanno parlato del ricatto ambiente-lavoro con cui la classe dominante vessa le masse popolari del paese e a cui possiamo fare fronte solo andando oltre le lotte particolari di ognuno, nella consapevolezza che la matrice dei problemi dei proletari è comune. In particolare un compagno del Comitato No Grandi Navi di Venezia ha mostrato come loro siano riusciti ad ottenere una prima vittoria (il divieto dell’ingresso in laguna delle navi da crociera) dal momento in cui le reti ambientaliste e studentesche del comitato si sono legate ai lavoratori del porto che all’inizio non li vedevano di buon occhio.
Dario Salvetti della RSU GKN ha invece ribadito il concetto di convergenza tra le lotte per il posto di lavoro e la lotta contro lo sfruttamento ambientale. Come Collettivo di Fabbrica hanno sempre applicato questo principio (qualche anno fa gli operai parteciparono attivamente alla lotta contro la costruzione di un inceneritore a Sesto Fiorentino) e sono convinti che la riconversione ecologica sia l’unico modo per salvare il tessuto produttivo del paese, quindi no a produzioni dannose e inutili o inquinanti. Per riconvertire le aziende, però, è fondamentale agire su tutto il resto, cambiando i rapporti di forza nella società, sedimentando organizzazione per costruire dal basso la nuova classe dirigente del paese.

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