Concepire il lavoro ordinario con spirito di conquista
Cari compagni della Redazione,
vi scrivo per riportare una “scoperta” piccola, ma importante, che abbiamo fatto nella Sezione di cui sono segretario.
Tutto parte dalla difficoltà che incontravamo nell’allargare la Sezione a nuovi compagni. Per alcuni anni, infatti, non solo non siamo riusciti a crescere, ma le iniziative che promuovevamo andavano per lo più deserte.
La nostra linea prevede che le Sezioni mettano in campo un lavoro ordinario fatto (molto sinteticamente) di interventi nelle aziende, negli organismi popolari e sul territorio per sviluppare il nuovo potere delle masse popolari. Questo lavoro lo svolgevamo sistematicamente e con risultati anche abbastanza buoni, raccogliendo numerosi contatti, sostenendo le lotte operaie sul territorio, intervenendo sulle organizzazioni popolari per spingerle in avanti e svilupparne il coordinamento. Siamo riusciti anche a promuovere la nascita di nuove organizzazioni popolari con i contatti raccolti nel tempo.
Ci aspettavamo che da questo lavoro emergessero simpatizzanti e nuovi possibili militanti per la Sezione, ma non è stato così.
Le tante discussioni che abbiamo fatto per affrontare il problema finivano sempre per girare attorno a due argomenti:
1. la linea è sbagliata, non è il lavoro ordinario sul territorio l’aspetto principale per avanzare. Spesso però questo ragionamento finiva per avvitarsi nella ricerca di qualche espediente: non esplicitare la nostra identità, una comunicazione più accattivante, l’uso di qualche social specifico. Insomma, di fatto non emergeva nessuna reale linea alternativa a quella del lavoro ordinario;
2. reclutare nuovi militanti è impossibile, nel senso che non esistono sul territorio compagni che vogliono diventare membri del Partito. Il più delle volte questa idea era condita da considerazioni su quanto la zona dove interveniamo fosse particolare e diversa da altre, il lavoro più facile, ecc. Anche in questo caso non emergeva fondamentalmente nessuna soluzione al problema, se non quella di gettare la spugna.
Alla fine siamo riusciti a sbloccare questa situazione solo quando abbiamo cominciato ad allargare la nostra prospettiva e a darci l’obiettivo di coinvolgere anche altri compagni che abitavano sul territorio, ma non militavano negli organismi su cui interveniamo e che tendenzialmente non incontravamo nel lavoro ordinario della Sezione, ma di cui il Partito aveva raccolto il contatto nel corso di manifestazioni, iniziative, ecc.
Questa è stata per noi sicuramente un’importante scoperta, ma non l’unica.
Chi legge potrebbe pensare da quanto ho scritto che effettivamente la linea fosse allora sbagliata, che fosse un errore concentrarci sul lavoro ordinario, che avremmo dovuto dedicarci, anzi, a cercare sul territorio compagni interessati al Partito. La scoperta che abbiamo fatto ci dice in realtà proprio il contrario.
È infatti emerso che i nuovi compagni si sono avvicinati proprio perché convinti dal lavoro ordinario della sezione. Per dirlo con parole loro, dal fatto che sistematicamente: “eravamo dove c’era bisogno di essere”.
Il lavoro ordinario è stato inoltre anche la base su cui è stato possibile, fin da subito, valorizzare i nuovi compagni in attività che rispondevano alla loro aspirazione di partecipare attivamente alla lotta di classe.
La linea, quindi, non era sbagliata, eravamo noi ad applicarla in maniera sbagliata. Il nostro limite era pensare, in modo schematico, che se il lavoro ordinario è il centro della nostra attività, nuovi simpatizzanti e militanti dovevano per forza di cose emergere da lì. In realtà, il lavoro ordinario è sì il centro della nostra attività, ma nel senso che è lo strumento più importante che abbiamo per spingere avanti la lotta di classe, per distinguerci dalla sinistra borghese e rappresentare un esempio per i compagni più generosi e decisi a dare il loro contributo nella lotta politica rivoluzionaria. Non deve, però, essere il limite del nostro orizzonte, ma strumento di conquista, per guardare e andare sempre oltre.
La nostra esperienza conferma, quindi, la centralità del lavoro ordinario: rappresenta quella pratica che ci qualifica agli occhi delle masse popolari e che la classe dominante, nonostante gli infiniti mezzi della sua propaganda, non può cancellare. La stessa esperienza ci insegna anche che il lavoro ordinario non deve diventare una gabbia che ci limita, ma una base per avanzare e sviluppare la nostra attività, cogliendo tutte le occasioni che si presentano.
M.S.