Riflessioni sull’omicidio di Viareggio. L’unica vera lotta al degrado è la lotta di classe

L’8 settembre, nel quartiere della Darsena viareggina, un uomo è stato ucciso brutalmente dopo aver rubato una borsa.

La zona in cui è avvenuto l’omicidio è il fulcro dell’economia cittadina, è qui che vengono costruiti gli yacht di lusso, ma è anche una zona interessata da frequenti episodi di microcriminalità, danneggiamenti e furti soprattutto nelle auto e negli esercizi commerciali. È sempre in Darsena che sono concentrati buona parte dei senza tetto.

Il delitto ha destato molto scalpore per chi l’ha compiuto e per come è stato commesso. La donna derubata, un’imprenditrice sessantacinquenne viareggina, proprietaria di uno stabilimento balneare, ha reagito con prontezza e crudeltà. Senza pensarci due volte, ha inseguito in auto il borseggiatore e si è fatta giustizia

da sé, investendolo più volte con il suv. Con l’uomo a terra, ha afferrato, quindi, la borsa e se n’è andata come se nulla fosse. Il tutto ripreso da una telecamera che l’ha inchiodata alle sue responsabilità.

L’uomo ammazzato, Nourdine Naziki, era un marocchino che viveva a Viareggio da anni, conosciuto in città come Said “il parcheggiatore”. Era un senza fissa dimora e viveva di espedienti, ma neppure il furto di una borsa giustifica il suo brutale omicidio.

La città si è subito divisa tra chi considera l’imprenditrice un’eroina e giustifica l’atto compiuto, inneggiando alla “giustizia fai da te”, e chi invece la condanna considerando la sua reazione eccessiva, capace di generare ulteriore violenza, contraria a ogni principio morale e civile.

A un incontro pubblico organizzato da alcuni cittadini, svolto qualche giorno dopo l’omicidio per parlare di sicurezza nel territorio versiliese, hanno partecipato circa 500 persone esasperate dal degrado generale e dalle sue conseguenze: furti, risse, spaccio di stupefacenti. Obiettivo degli organizzatori era quello di ricercare maggiore collaborazione con le forze dell’ordine che però spesso, a loro dire, hanno le mani legate dalla legge. Per questo si sono rivolti principalmente ai politici, al governo e al parlamento affinché cambino le leggi in modo che i reati non restino impuniti. Come riportato dalla stampa locale, sono emerse anche altre proposte, tra cui quella di mettere in piedi una sorta di ronde, per vigilare, soprattutto di sera, le zone più a rischio del paese. Un’altra proposta è stata quella di cercare di riappropriarsi della pineta, dove trovano rifugio gli spacciatori, andando a cercare legna e organizzando passeggiate di gruppo.

L’altra parte della città (composta da sindacati e associazioni varie, tra cui Cgil, Arci, Legambiente, Anpi, Casa delle donne, Croce Verde, Cantiere sociale e Uovo di Colombo, riunite nel Forum per la pace della Versilia), di fronte a queste reazioni, ma soprattutto all’indifferenza dimostrata da molti ed evidenziata dalla mancanza di un semplice gesto come quello di depositare un fiore sul luogo del delitto, ha deciso di promuovere un corteo silenzioso anti-violenza, avente per slogan “un fiore per Said”, al quale hanno partecipato circa settecento persone.

Due impostazioni, quella da giustizieri e quella da indignati, che stanno agli antipodi, ma alla cui base c’è la putrefazione della società capitalista che produce problemi che non possono essere risolti al suo interno e che anzi sono funzionali al suo mantenimento: povertà, disoccupazione, immigrazione di massa, spaccio e abuso di sostanze, ecc.

La “giustizia fai da te” è una manifestazione della sfiducia verso autorità e istituzioni borghesi, è in un certo modo anche una forma di resistenza al degrado dilagante, ma è una forma negativa perché alimenta la guerra tra poveri e aumenta la sottomissione delle masse popolari verso la classe dominante e i ricchi.

Questo è emerso molto bene nel caso di Viareggio, dove più che puntare il dito sulla mancanza di lavoro utile e dignitoso, di case popolari, di servizi pubblici efficienti, e quindi piuttosto che vedere da dove nasce il degrado, in tanti si sono concentrati sugli effetti, arrivando a solidarizzare con una ricca imprenditrice assassina.

Il degrado e i suoi effetti non vanno negati. Ma non basta mostrarsi “indignati” (tanto dal degrado quanto dalla reazione di una parte delle masse popolari), perché l’indignazione non risolve il problema.

Bisogna denunciare il degrado e chiamare in causa i veri responsabili, bisogna sostenere le masse popolari che pretendono di vivere in quartieri dignitosi, sicuri e fruibili, bisogna alimentare la sfiducia verso le istituzioni borghesi e promuovere l’organizzazione dal basso.

Gli elementi delle masse popolari che invocano la vigilanza nei quartieri degradati e quelli che si indignano di fronte al razzismo, all’indifferenza e alla mancanza di solidarietà hanno fra loro più cose e interessi di quanto i primi non l’abbiano con una ricca assassina o con Salvini e i secondi con il vescovo, la Schlein o Fratoianni.

Solo le masse popolari organizzate possono affrontare positivamente il degrado e trattare i suoi effetti.

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