Contro la militarizzazione delle scuole e delle università

Nell’ambito della Festa della Riscossa Popolare, il 4 agosto si è svolta una conferenza sulla lotta contro la militarizzazione di scuole e università che ha visto confrontarsi Fulvio Grimaldi (giornalista, inviato di guerra, documentarista, scrittore), Mario Sanguinetti (membro dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università), Maisa Shams, (presidente del Centro culturale Handala Alì con sede a Napoli) e Rajeh Zayed (segretario dell’Unione Democratica Arabo Palestinese – Udap).

Fulvio Grimaldi ha messo in luce com’è cambiata la Nato negli ultimi trent’anni, in particolare dall’aggressione alla ex Jugoslavia nel 1999. Per legittimare i suoi piani di guerra ha investito molto sulla “cultura”, su come dobbiamo vedere il mondo, diviso tra buoni (gli occidentali) e cattivi (tutti coloro che non si adeguano al sistema occidentale), dove i buoni hanno appunto il compito di esportare la democrazia, salvaguardarla dai dittatori sparsi ovunque. Una cultura che viene imposta in varie forme, ad esempio attraverso le serie televisive, i videogiochi che esaltano la violenza, dove vince chi ammazza o distrugge di più; alimentando così il pensiero che si deve fare una guerra perché c’è un cattivo da sconfiggere. La Nato è quindi uno strumento della lotta di classe che la borghesia imperialista usa contro le masse popolari attraverso le guerre, il controllo del territorio, il controllo del pensiero, l’imposizione di falsi valori.

Mario Sanguinetti ha illustrato i dati relativi al fenomeno della crescente militarizzazione della scuola e dell’università pubblica, che ha le sue radici nel 1989 quando è iniziato il processo di privatizzazione che le ha ridotte a vere e proprie aziende. Per mantenersi devono procacciarsi finanziamenti, facendo ad esempio accordi con la Fondazione Med-Or (iniziativa della Leonardo Spa); in particolare sono tredici le università italiane che hanno fatto accordi con Med-or e nei cui confronti l’Osservatorio ha promosso battaglie, raccogliendo firme e ottenendo che qualche rettore ritirasse la propria università dal progetto.

L’introduzione della cultura militare nelle scuole è avvenuta pian piano e in maniera strisciante a partire dal 2006 con accordi tra il ministero dell’istruzione e i servizi segreti; inizialmente riguardava questioni quali la violenza sulle donne, il cyber-bullismo, la cui trattazione era affidata direttamente alle Forze dell’Ordine anziché a insegnanti o altre figure civili. Nel 2008 è iniziata la prima alternanza scuola-lavoro in una caserma in Sardegna, a Cagliari, dove gli studenti sono stati interessati a vedere come vengono utilizzate le tecnologie militari.

Di fronte al processo di autoritarismo e militarizzazione è emersa la necessità che la scuola e l’università tornino a essere un luogo di cultura, in cui la critica all’esistente sia il perno dell’attività didattica, così come era stato conquistato con il movimento del Sessantotto. Hanno quindi iniziato a organizzare convegni dove denunciano ciò che sta accadendo, mettendo in chiaro come dietro i conflitti ci sono questioni economiche e di forza militare ben precise.

Maisa Shams ha spiegato che si occupano della resistenza palestinese soprattutto a livello culturale, in quanto credono che il problema principale della questione palestinese, per anni in Europa e nel mondo, sia stata proprio la narrazione filosionista che viene portata avanti soprattutto nelle scuole e nei libri di storia. Ha illustrato come il movimento studentesco per la Palestina non è iniziato il 7 ottobre, ma ben prima ed è stato l’avanguardia organica anticoloniale nel movimento per la liberazione della Palestina. Questo movimento oggi ha preso una nuova forma, ha recuperato la sua caratteristica anticoloniale, mira allo smantellamento del sistema di oppressione e sfruttamento. In Italia e in Europa il movimento degli studenti ha posto come strumento importante il “boicottaggio accademico”, che ha due obiettivi principali: non va trattata solo la questione bellica, ma il problema principale sono gli scambi tra gli studenti italiani ed europei con le università israeliane. Dopo il 7 ottobre sono iniziate mobilitazioni attraverso cui sono state occupate varie università, attraverso le cosiddette accampate durante le quali è stata diffusa la conoscenza della storia reale della Palestina che ha rafforzato la solidarietà degli studenti italiani con la lotta di liberazione del popolo palestinese, ma anche la consapevolezza di non essere disposti ad accettare il modello capitalista di sfruttamento e che la responsabilità del genocidio che sta avvenendo è anche dei governi italiano ed europei.

Rajeh Zayed ha parlato della mobilitazione che hanno promosso a Genova nelle università e con i lavoratori del porto e a livello nazionale con due manifestazioni (a Milano e Roma); dice che bisogna continuare la mobilitazione ricercando l’unità, pur mantenendo le diversità.

Filo conduttore degli interventi dei relatori è stato che di contro alla cultura di guerra e sopraffazione, propinata dalla classe dominante a partire dagli imperialisti Usa, è necessario imporre la cultura popolare che promuove la solidarietà, la resistenza dei popoli. Oggi le forme di resistenza sono diffuse e variegate, coinvolgono studenti, lavoratori e si tratta di coordinarle a un livello superiore, più efficace e su scala nazionale, sviluppando una mobilitazione generale di tutti i settori in lotta. Finché ci sono governi che sostengono l’occupazione sionista della Palestina, la migliore cosa che possiamo fare per sostenere la resistenza del popolo palestinese è cacciare i governi che sono espressione dell’imperialismo e dei sionisti. Tutti i progetti di cui si è discusso possono essere realizzati se il governo è nelle mani della classe operaia, dei lavoratori, degli studenti, sviluppando una mobilitazione generale a partire dai settori popolari che sono già in moto.

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