Presentazione

Il segreto di Lorenzo – di Delio Fantasia

“I due padroni assassini, ovviamente, non hanno fatto manco mezzo giorno di carcere. Giusto qualche giorno ai domiciliari, ma nessuna pena detentiva”.

Rileggiamo. “I due padroni assassini, ovviamente, non hanno fatto manco mezzo giorno di carcere. Giusto qualche giorno ai domiciliari, ma nessuna pena detentiva”.

Si parla di due padroni assassini perché la circostanza è precisa: gli omicidi sul lavoro di Umberto Musilli e Venanzio Feliziani, due operai uccisi sul posto di lavoro a cui questo racconto è dedicato. Ma i padroni assassini non sono affatto solo due: gli operai assassinati sono, di media, 1.400 all’anno. Muoiono da soli, uno alla volta, nei piccoli cantieri e nelle aziende agricole, nelle campagne e nelle città. A volte muoiono a cinque, sei, sette alla volta. E allora le loro storie finiscono sui giornali, come racconto di una “tragica fatalità”. Che fatalità non è.

Passate le lacrime di coccodrillo delle autorità e delle istituzioni, passati i mazzi di fiori deposti dai baroni dei sindacati di regime, passato lo sdegno a tempo determinato e l’indignazione pelosa della stampa che plasma l’opinione pubblica, rimane il fatto che i padroni assassini, in genere, non fanno manco mezzo giorno di carcere. Giusto qualche giorno ai domiciliari, ma nessuna pena detentiva.

Partiamo da questo fatto per fare due ordini di ragionamenti.

Il primo è sul racconto che state per leggere. Vorrei davvero evitare di scrivere più parole di quelle che Delio Fantasia ha usato per spiegare quello che dal racconto emerge molto chiaramente ed efficacemente. In maniera dirompente, direi.

Delio ha scritto questo racconto che trasuda lacrime che non sono di coccodrillo, trasuda sdegno che non è a tempo determinato e indignazione che è lucida come una lama. Ma questo racconto è anche qualcosa di più. Perché “scompone” l’omicidio sul lavoro in tante parti che vengono ricomposte pagina dopo pagina, in modo da far emergere gli elementi costitutivi della strage in atto ogni giorno. Il primo fra tutti è la “banalità” della morte di un operaio.

Avete letto bene, banalità.

Sui cantieri, nelle aziende agricole, nei reparti delle grandi aziende, sulla rete ferroviaria, nei porti si muore così, per una banalità.

Un banale calcolo economico basato sulla cifra che il padrone risparmia violando ed eludendo le misure di sicurezza.

Un banale calcolo costi-benefici, tanto sul piano legale che morale, su quello che comporta violarle ed eluderle, quelle misure.

Un banale investimento sul fatto che tanto, gira che ti rigira, tutto viene sistematicamente ricondotto alla “tragica fatalità”: il lavoratore sfortunato è al posto sbagliato nel momento sbagliato. Poco importa, anzi non importa affatto, se quel lavoratore in un certo posto e in un certo momento ci va perché c’è mandato, è obbligato ad andarci.

Questo racconto, come chiarisce il suo stesso autore, è ispirato alle storie vere degli omicidi di Umberto Musilli e Venanzio Feliziani, ma parla delle storie dei 1.400 lavoratori assassinati ogni anno sul posto di lavoro nel nostro paese.

È un racconto frutto di fantasia e pertanto ha un finale diverso da tutte le storie vere, un finale “che rende giustizia alla vittima” e che, pur frutto di finzione, restituisce “la verità sempre sottaciuta di un sistema criminale che tende a preservare se stesso”.

Il secondo ordine di ragionamenti è più generale. Il racconto scritto da Delio Fantasia è solo il pretesto che lo innesca. E l’espediente letterario scelto lo presenta nel modo crudo e adeguatamente realistico che merita.

E io che farei? E io che faccio?

Il lavoratore morto, assassinato, che campeggia brevemente nelle cronache, spesso è un estraneo. A volte è un collega. Ma sempre è parte della classe lavoratrice come tutti gli altri lavoratori, individui reciprocamente estranei uniti nel presente dal ruolo che ricoprono nella società e uniti nel destino che chi domina la società riserva loro. Non come individui, ma come classe.

Ragioniamo in termini di classe: avere la certezza che un padrone assassino paghi per i suoi crimini sarebbe in qualche modo consolante; sarebbe in una certa misura, probabilmente, un deterrente, ma non sarebbe in ogni caso la soluzione alla strage di lavoratori. Perché la strage di lavoratori non è una questione legale e giuridica, è una questione politica, sociale, di civiltà. E se viviamo in una civiltà che ha fra i suoi pilastri l’accettazione della strage di lavoratori come inevitabile prezzo da pagare per poter lavorare, allora è una civiltà infima che va rovesciata e sostituita con un’altra civiltà, con una civiltà superiore.

Nessuno spoiler, ma l’introduzione di questo piano di ragionamento – E io che farei? E io che faccio? – è il vero “capolavoro” di questo racconto di poche pagine.

È un racconto e non dà, non credo abbia la pretesa di dare, alcuna soluzione complessiva. Ma fa breccia nella coscienza e scava. Fa breccia nel cuore dei lavoratori e scava.

Lavoratori, lavoratrici, fatevi – e facciamoci – un favore: leggete questo racconto, ma soprattutto regalatelo e fatelo leggere. Ai vostri colleghi, ai vostri figli, ai vostri nipoti, ai vostri amici.

Non è impegnativo, nel senso che si legge in quaranta minuti. Ma è molto impegnativo, nel senso che scava, scava e scava nel cuore e nella coscienza. E lascia con una domanda che taglia come un rasoio: E io che farei? E io che faccio?

Ora ci metto del mio. Esco dall’impianto narrativo e approfitto della breccia che il testo apre nel mondo reale. Quello de “i due padroni assassini, ovviamente, non hanno fatto manco mezzo giorno di carcere. Giusto qualche giorno ai domiciliari, ma nessuna pena detentiva” e dei 1.400 lavoratori morti all’anno.

La civiltà dove comandano i padroni è questa, ma la soluzione c’è. La società dove comandano i padroni va rovesciata e va imposta una civiltà dove a dirigere sono i lavoratori, secondo i loro interessi.

La soluzione c’è, ma non cade dal cielo, va costruita, preparata, perseguita.

La condizione essenziale è che i lavoratori tornino a organizzarsi nelle aziende, nei cantieri, nei campi, nei porti, negli uffici, nei magazzini, nei supermercati. Che si organizzino indipendentemente dalle tessere sindacali e dal fatto di essere iscritti o meno al sindacato; che si organizzino per iniziare a far rispettare le regole e le norme per la sicurezza – che esistono – e a far valere nella pratica quello che rimane delle tutele, dei diritti e delle conquiste che furono il frutto delle lotte dei decenni passati.

Lavoratori, lavoratrici, fatevi – e facciamoci – un favore: organizzatevi e coordinatevi. Non solo come individui, ma come classe. Da soli potete poco, organizzati e coordinati potete far valere tutta la forza della classe lavoratrice. Quella forza che serve a rovesciare la civiltà dello sfruttamento e a conquistare la civiltà superiore che ci appartiene, che ci spetta, che ci meritiamo.

Il direttore di Resistenza
Pablo Bonuccelli

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