Darsi i mezzi per costituire il Governo di Blocco Popolare

Il movimento economico della società è caratterizzato dalla seconda crisi generale per sovrapproduzione assoluta di capitale iniziata a metà degli anni ‘70 del secolo scorso. Il movimento politico è invece caratterizzato tanto dall’attuazione del programma comune della borghesia, che paese per paese è stato imposto da tutti i governi, indipendentemente dal loro colore, quanto dalla resistenza spontanea (cioè orientata dal senso comune corrente che prevale nella società e senza un legame con il movimento comunista cosciente e organizzato) delle masse popolari agli effetti della crisi e allo smantellamento delle conquiste ottenute con le lotte del periodo del capitalismo dal volto umano (1945 – 1975).

Fra le manifestazioni della resistenza spontanea delle masse popolari rientra il cambiamento delle loro abitudini elettorali: in ogni paese imperialista, in particolare dal 2016 si votano partiti e individui che si presentano alternativi e antagonisti al sistema politico che aveva promosso l’attuazione del programma comune. La svolta politica in corso a livello internazionale in Italia si è materializzata con la vittoria del M5S, e secondariamente della Lega, alle elezioni del 4 marzo scorso.

Con il voto le masse popolari hanno aperto una breccia nel sistema politico delle Larghe Intese e l’installazione di un governo che non è diretta espressione di quel sistema politico ne è il principale risultato.

Chi, in questa situazione, si limita a considerare solo quello che il governo frutto di quella breccia fa o non fa, anziché considerare principalmente l’apertura della breccia e la rottura con il passato, le contraddizioni della classe dominante che essa genera, il ruolo delle masse popolari e le strade che la nuova situazione apre all’intervento dei comunisti e alla rinascita del movimento comunista, non può assumere un ruolo positivo nel sommovimento politico in corso: oscilla fra sostenere il governo del cambiamento, sperando che mantenga le promesse che ha fatto, oppure schierarsi fra i denigratori del governo in compagnia dei partiti delle Larghe Intese, portando acqua al loro mulino.

In questo contesto l’essenza del nostro lavoro, da comunisti, non è “guidare le proteste contro il governo M5S-Lega” per le misure antipopolari che adotta o perché adotta misure insufficienti e neppure “guidare il sostegno al governo M5S-Lega” per resistere agli attacchi delle Larghe Intese. E’ nostro compito, invece, approfittare della situazione e usare ogni appiglio per portare le organizzazioni operaie e popolari a imporre un loro governo di emergenza (il Governo di Blocco Popolare), sostenendole, rafforzandole, indicando i passi concreti che possono compiere per conquistare la fiducia di quella parte di masse popolari che non sono ancora organizzate, favorendo il loro coordinamento e facendole agire da nuove autorità pubbliche al posto delle vecchie autorità e istituzioni borghesi. L’essenza del nostro lavoro è avanzare nella costruzione del nuovo potere che soppianterà quello della borghesia imperialista: il rafforzamento della Carovana del (nuovo)PCI e la moltiplicazione di organizzazioni operaie e popolari che agiscono da nuove autorità pubbliche legate più o meno direttamente alla Carovana del (nuovo)PCI.

Le condizioni particolari della nostra opera. Il M5S e la Lega hanno raccolto milioni di voti in ragione delle promesse di cambiamento che hanno fatto e delle misure che hanno annunciato di attuare immediatamente, una volta saliti al governo. Con il Contratto di governo hanno messo nero su bianco il loro programma: già da quanto è scritto lì emerge la velleità di voler conciliare gli interessi delle masse popolari con gli interessi della borghesia imperialista, campo a cui entrambi i partiti appartengono per quanto riguarda la concezione del mondo che li guida. Fin dal giorno del suo insediamento abbiamo avuto chiaro che il governo non avrebbe avuto la forza di mantenere gli impegni che si era preso, poiché, fin da subito, i partiti che lo compongono avevano dimostrato di cercare un compromesso con il fronte delle Larghe Intese anziché promuovere la mobilitazione delle masse popolari per allargare la breccia che esse avevano aperto votandoli. L’esperienza di otto mesi di governo dimostra che:

  1. la convinzione di poter invertire il corso generale delle cose attuando le leggi “giuste” e “cambiando le leggi sbagliate” (legalitarismo), caratteristica principalmente del M5S che influisce su tutta l’azione del governo, si infrange contro il muro della confermata sottomissione del nostro paese alle autorità della UE, della NATO e del Vaticano, degli interessi dei comitati di affari, delle cosche malavitose, dell’inefficienza dell’amministrazione pubblica, nei meandri della Repubblica Pontificia(la decisione sul TAP e il terzo valico TAV, i vari casi di manina gate, ecc.);
  2. le difficoltà, le reticenze e le contraddizioni nella attuazione delle parti progressiste del Contratto di governo rafforzano le tendenze reazionarie e la spinta a procedere più speditamente sulle politiche che continuano e peggiorano l’opera dei precedenti governi delle Larghe Intese, caratteristica principalmente della Lega, ma che influisce su tutta l’azione del governo (vedi Decreto Sicurezza, promozione della repressione su più ampia scala, la propaganda e le iniziative razziste e autoritarie di Salvini, ecc.);
  3. ogni tentennamento, ogni reticenza, ogni “ripensamento” da parte del governo M5S-Lega fornisce alle Larghe Intese appigli per attaccarlo sia sul campo parlamentare che sul campo istituzionale (vedi contraddizioni con i sindaci di molte città), sia, infine, minacciando il ricorso alla mobilitazione popolare.

Darsi i mezzi della propria politica. Quando affermiamo che il governo non manterrà alcuna delle promesse che ha fatto, intendiamo dire che al di la dei proclami, degli intenti e della “buona volontà”, esso non si dà i mezzi per farlo. Darsi i mezzi significa mobilitare su ampia scala le masse popolari, allargare la breccia che esse hanno aperto nel sistema politico delle Larghe Intese, rovesciare iter e prassi correnti per dare le gambe e far marciare le misure urgenti di cui c’è bisogno per “abolire la povertà”.

Certamente troveremo persone che commentano: “ma come, dite che il governo M5S-Lega non attuerà nessuna delle promesse che ha fatto, ma Quota 100 e reddito di cittadinanza li ha approvati!”. A simili commentatori rispondiamo che hanno ragione: Quota 100 e reddito di cittadinanza sono le principali misure che qualificano il cambiamento che M5S e Lega vanno promettendo e in effetti sono stati approvati. La loro approvazione è ulteriore smentita di coloro che insistono nel dire che “questo è un governo uguale o peggiore di quelli precedenti” e ulteriore conferma del fatto che questo governo è il frutto della breccia aperta dalle masse popolari. Il discorso va inteso però su un altro piano: una volta approvati Quota 100 e reddito di cittadinanza (e una volta che avranno superato anche la prova del nove dei decreti attuativi), chi li applicherà nella pratica? C’è qualcuno che pensa che l’INPS diretta da Tito Boeri, che non si è mai risparmiato di boicottare la riforma della legge Fornero, assumerà con piglio, efficienza, efficacia, dedizione e serietà l’attuazione di Quota 100? Chi non fa il finto tonto sa bene, invece, che essendo uomo delle Larghe Intese, Boeri è pagato da chi lo ha installato al suo posto di direzione per dimostrare che Quota 100 è una legge fatta male, senza capo né coda, senza prospettiva, inutile e dannosa. C’è qualcuno egualmente ingenuo che si aspetta che i “sindaci ribelli”, in particolare quelli del PD, accoglieranno con entusiasmo l’avvio delle misure della riforma dei centri per l’impiego e collaboreranno per farli funzionare?

La verità è che l’attuazione delle misure favorevoli alle masse popolari prese dal governo, senza la mobilitazione delle masse popolari stesse, è estremamente difficile, poiché è delegata a una macchina burocratica e amministrativa notoriamente inefficiente, passiva e con un legame pratico, clientelare, ideologico con la classe dominante.

Il contenuto della nostra opera. Il sommovimento politico generato dall’apertura della breccia nel sistema politico delle Larghe intese e dall’esistenza e dall’azione del governo M5S-Lega, combinato all’ampia mobilitazione popolare (come risultato di quattro movimenti: la resistenza spontanea agli effetti della crisi, la mobilitazione per spingere i partiti di governo a mantenere le promesse che avevano fatto in campagna elettorale, la mobilitazione dei settori popolari delusi dal mancato rispetto delle promesse e dalle misure che continuano le politiche dei precedenti governi delle Larghe Intese, la mobilitazione dei settori popolari promossa dai partiti e dalle organizzazioni che appartengono alle Larghe Intese contro il governo M5S-Lega), crea una situazione estremamente favorevole alla nostra azione e alla nostra opera e moltiplica gli ambiti di intervento in cui è possibile promuovere la costruzione di organizzazioni operaie e popolari e legarle alla Carovana del (nuovo)PCI.

Per quanto riguarda la difesa dei posti di lavoro esistenti, il contrasto alla chiusura e alla delocalizzazione di aziende, la difesa delle tutele e dei rimanenti diritti, la conquista di nuovi diritti e la loro estensione: non solo è possibile avvalersi di quello che rimane della capillare struttura dei sindacati di regime (considerando che le RSU o i semplici iscritti non sono in alcun modo paragonabili ai dirigenti) e allo sviluppo dei sindacati alternativi e di base, ma stante la crescente consapevolezza del complessivo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro e del marasma che travolge la società intera, cresce la volontà degli operai di comprendere la realtà, di discutere di politica per trovare una soluzione. Oltre alle parole d’ordine “di sinistra” è possibile usare ai nostri fini anche gli slogan reazionari promossi dalla Lega. “Prima gli italiani” è un inno al razzismo, se lasciato in mano alla Lega, ma può diventare uno strumento per alimentare la lotta di classe se diventa un appello alla mobilitazione per garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro, contro le delocalizzazioni, il contrasto alle speculazioni delle multinazionali e dei fondi di investimento, la base per pretendere l’applicazione delle parti progressiste della Costituzione del 1948, il criterio per definire due classi contrapposte (prima i padroni italiani o i lavoratori italiani?). Con questo piglio interveniamo in decine di aziende capitaliste e di aziende pubbliche mettendo avanti il ruolo sociale dei lavoratori che incontriamo e in secondo piano il fatto (eventuale) che siano influenzati dalla propaganda delle Larghe Intese o dalla propaganda della Lega.

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, la lotta per creare nuovi posti di lavoro e per contrastare la precarietà, mettiamo in secondo piano le opinioni sul fatto che “780 euro” (la cifra prevista per il reddito di cittadinanza) “siano pochi o siano sufficienti” e le lamentele sul fatto che i criteri per accedere al sussidio “sono troppo selettivi ed escludenti”: promuoviamo la mobilitazione degli organismi popolari affinché ogni azienda pubblica e privata, scuola, ospedale, ogni caserma dei vigili del fuoco, ogni ONG, ogni circolo ARCI, ogni parrocchia, ecc. siano spinti ad assumere disoccupati e precari, formarli a fare lavori che servono, organizzarli per realizzarli e su questa base erogare il reddito di cittadinanza. A questo proposito, dato che sindacati di regime, CAF e agenzie della pubblica amministrazione non sono affidabili, sono gli elettori e gli attivisti del M5S e della Lega che, in primo luogo, devono mobilitarsi per favorire l’istituzione, il funzionamento e il controllo dell’operato dei centri per l’impiego.

Abbiamo fatto solo due esempi, ma gli ambiti che permettono la promozione dell’organizzazione e della mobilitazione popolare sono pressoché illimitati: dagli scioperi al contrario per contrastare degrado e abbandono di intere zone alla manutenzione delle scuole e degli ospedali, dalla vigilanza e dal controllo popolare sulla sicurezza sui luoghi di lavoro alla disobbedienza organizzata a decreti, leggi, misure e ordinanze antipopolari e razziste.

La prospettiva della nostra opera. Di fronte agli esempi e alle possibilità, chiunque può ragionevolmente obiettare che la mobilitazione delle masse popolari può svilupparsi solo fino a un certo livello, perché le masse popolari, per quanto organizzate, non dispongono dei mezzi e delle risorse per fare fronte efficacemente e su vasta scala agli effetti della crisi. E’ del tutto vero. Per questo gli operai, i lavoratori e le masse popolari hanno bisogno di un governo che si dà fino in fondo i mezzi per attuare la sua politica di principio; che poggia la sua azione sull’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari per ristabilire la sovranità dei loro interessi sugli interessi dei capitalisti italiani e stranieri, che promuove l’organizzazione e la mobilitazione delle masse popolari non ancora organizzate come strumento per rafforzare e sviluppare la sua politica. Hanno bisogno del Governo di Blocco Popolare.

Questa prospettiva immediata è quella che portiamo (e indichiamo ai nostri lettori di portare) in ogni mobilitazione, indipendentemente da chi ne sia il promotore e da quali siano gli obiettivi che persegue, sia il M5S, la Lega, i partiti e i sindacati di regime delle Larghe Intese o gli oppositori “da sinistra” dell’attuale governo.

Darsi i mezzi per rompere con la sottomissione alla UE e conquistare la sovranità nazionale. Il governo M5S-Lega ha ceduto alla Commissione UE quando questa ha minacciato di aprire la procedura di infrazione contro l’Italia a causa dello sforamento del rapporto deficit/PIL fissato secondo gli accordi con la UE sotto il 2% e portato nella prima bozza della Legga di Bilancio a 2,4%.

La procedura di infrazione comporta multe per alcuni miliardi di euro (sembra una cifra enorme, ma se la paragoniamo a quella che lo stato italiano paga ogni anno per gli interessi sui titoli del debito pubblico, per i servizi al Vaticano e alla sua chiesa, per le missioni di guerra, ecc. è una cifra irrisoria) che per un governo che si dà i mezzi per combattere sarebbe stato sufficiente non pagare affatto. La UE sarebbe passata dalle minacce ai ricatti (tipo “la procedura di infrazione e il non pagamento delle multe fa alzare lo spread”), ma il governo avrebbe potuto decidere di non pagare i titoli del debito pubblico a scadenza sopra un certo valore nominale. Il problema sarebbe diventato enorme per i possessori dei titoli, che non avrebbero riscosso i rimborsi, e per coloro che aspettano la vendita di nuovi titoli per collocare i loro soldi (gente che, stante la crisi per sovrapproduzione di capitale, non intendeva in ogni caso investire nella produzione di merci, cioè nell’economia reale). Che effetti avrebbe avuto questo sull’economia reale? Dipende da chi gestisce l’economia reale. Se è gestita da un governo che poggia sull’iniziativa delle organizzazioni operaie e popolari e le sostiene nella loro azione di dirigere le aziende del paese (capitaliste e pubbliche) come sostitute degli attuali gruppi dirigenti, allora il governo avrebbe potuto continuare a perseguire il suo programma di cambiamento e svilupparlo.

Il “programma comune” della borghesia imperialista consiste:

  1. 1. Nell’eliminazione delle conquiste di civiltà e benessere che le masse popolari dei paesi imperialisti avevano strappato alla borghesia nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria (1917-1976), quando il movimento comunista era forte nel mondo. L’eliminazione per le masse popolari dei paesi imperialisti si traduce in flessibilità, precarietà, disoccupazione, lavorare di più e guadagnare di meno, innalzamento dell’età pensionabile e pensioni da fame, eliminazione del CCNL, istruzione e sanità a pagamento, carovita, affitti alle stelle e mutui da strozzinaggio, miseria, degrado ambientale e culturale;

  1. 2. Nello smantellamento del settore pubblico dell’economia e delle altre istituzioni e procedure (espressione dell’unità della società e delle sue forze produttive in un contesto ad essa antagonista, fondato sulla proprietà privata delle forze produttive: quelle che Marx chiamò Forme Antitetiche dell’Unità Sociale-FAUS) con le quali nei paesi imperialisti la borghesia nella prima parte del secolo scorso ha fatto fronte all’avanzata della rivoluzione socialista e nella creazione di nuove FAUS: fine dell’accordo di Bretton Woods e creazione della moneta fiduciaria mondiale, Unione Europea, formazione del sistema finanziario internazionale, sviluppo su grande scala del capitale speculativo e del Debito Pubblico (in Italia: “divorzio Tesoro-Banca d’Italia” del 1981), libera circolazione dei capitali nel mondo, ecc.;
  2. Nella reintegrazione nel sistema imperialista mondiale dei primi paesi socialisti e nella ricolonizzazione dei paesi già colonie (dove i gruppi imperialisti aprono miniere e installano piantagioni, “ripuliscono” la terra dalle popolazioni che ci abitano, delocalizzano aziende, impongono opere pubbliche e altre operazioni speculative, vendono armi, fanno investimenti, conducono guerre – direttamente o per interposta persona – contro gli Stati e le autorità che non si piegano alla loro volontà e non aprono le frontiere alle loro scorrerie e ai loro traffici) e nella lotta accanita tra i gruppi imperialisti per conquistare un ruolo di primo piano negli affari mondiali e nella spartizione dei profitti estorti ai lavoratori e ai popoli oppressi;
  3. Nella repressione del movimento di resistenza delle masse popolari contro il “programma comune” e in particolare nella persecuzione, condotta all’insegna della “guerra contro il terrorismo”, di quanti si organizzano e lottano contro il sistema imperialista e per la rinascita del movimento comunista: inchieste, arresti, perquisizioni, sequestri, pedinamenti, intercettazioni, cariche della polizia, espulsioni dai sindacati di regime, schedature, politica della sicurezza diretta dai servizi di informazione (intelligence), controllo e direzione dell’informazione di massa.

È il programma (inaugurato da Ronald Reagan negli USA e da Margaret Thatcher in Gran Bretagna) che la borghesia imperialista attua da quarant’anni a questa parte per far fronte, a suo modo, alla seconda crisi generale per sovraccumulazione assoluta di capitale iniziata nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso, dopo che essa ha ripreso in mano la direzione del mondo a seguito dell’esaurimento della prima ondata della rivoluzione proletaria (tra il 1956-XX Congresso del PCUS e il 1976-fine della Rivoluzione Culturale in Cina) e del declino generale del movimento comunista.

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