“Siamo tutti anticapitalisti”. Il sondaggio condotto dall’istituto demoscopico SWG e pubblicato nel luglio scorso da l’Unità (che non ha certo più nulla a che fare con il giornale fondato da Gramsci) offre vari spunti di riflessione, a partire dal fatto che il 32% di chi vi ha risposto si è definito anticapitalista, il 25% pro-capitalista e un consistente 46% non si è schierato né dall’una né dall’altra parte. Certo, non esiste sondaggio che possa indicare in cosa si riconoscono gli anticapitalisti. Cioè il “contro il capitalismo” è chiaro, non è chiaro il “per che cosa”.
“Alternativa!” Parola bella e inflazionata, spesso vuota e illusoria quando è accompagnata dall’ignoranza (o dalla confusione alimentata ad arte) sul funzionamento della società capitalista e sul percorso che ha compiuto l’umanità per arrivare al punto in cui si trova oggi. Nel termine “alternativa” ci stanno due grandi contenitori: il realistico e il campato per aria..
Un ragionamento generale. Unica alternativa alla società capitalista, cioè diretta dalla borghesia imperialista, è una società governata dalla classe antagonista a quella dominante, la classe operaia. Questo perché la struttura della società e del modo di produzione attuali hanno il loro nucleo nel rapporto fra capitalisti e classe operaia (nell’estorsione di plusvalore agli operai da parte dei capitalisti tramite il pluslavoro), nonostante oggi la principale fonte della valorizzazione del capitale siano le plusvalenze e la rendita finanziaria.
La trasformazione della società capitalista può avvenire solo per mezzo e a opera della classe antagonista alla borghesia imperialista, nessuna alternativa è realistica se il suo presupposto poggia sulla presa del potere politico da parte di qualche altra classe o settore delle masse popolari (quali? I dipendenti pubblici? Gli artigiani? I piccoli imprenditori?).
Del resto è da escludere con certezza che una società alternativa a quella capitalista possa essere governata da esponenti progressisti e illuminati (buoni) della borghesia imperialista. Questo lo ha dimostrato il fallimento del movimento NO Global fra la fine degli anni ‘90 e l’inizio degli anni 2000 a chi non aveva voluto tenere conto di quanto già dimostrato da Marx ed Engels nella seconda metà del 1800 rispetto alle velleità dei filantropi socialisti dell’epoca (socialismo utopico). Il capitalismo dal volto umano è esistito e può esistere solo quando il capitalismo non è in crisi e chi, qui e oggi, cerca un’alternativa sa, o almeno intuisce, che il capitalismo è in una crisi irreversibile che pesa sull’umanità intera come una cappa opprimente e implacabile. I capitalisti hanno, come sola alternativa alla crisi del loro sistema, la guerra, l’immane distruzione di forze produttive, fra le quali si annoverano miliardi di operai e altri lavoratori.
E’ certo anche che non vi è alcuna possibilità che l’umanità sia disposta a tornare indietro rispetto al livello di civiltà e (possibilità di) benessere raggiunti con il capitalismo. Cioè, realisticamente parlando, non è possibile pensare a un’alternativa basata su signorotti di paese e servi della gleba, vassalli e valvassori, ma nemmeno di libere città-stato che commerciano fra loro, botteghe di arti e mestieri dove si lavora il ferro per le lampade a olio, il tessuto per produrre 10 camicie alla settimana o il mercato dove si vendono 10 kili di patate al giorno. Queste sono cose del passato, ognuna è esistita e ha avuto una sua funzione nello sviluppo dell’umanità, è stata una tappa, ma è superata e irripetibile. perché, tolto qualche spacciatore di idiozie per intossicare i pensieri delle masse popolari, nessuno può credere davvero che “si stava meglio quando si stava peggio”, quando malattie debellate con semplici medicinali sterminavano intere popolazioni, le carestie mettevano a dura prova la sopravvivenza umana e l’aspettativa di vita media era all’incirca la metà di quella odierna. L’umanità ha raggiunto nel capitalismo un livello di civiltà, benessere, conoscenze e potenzialità sconosciuto nella storia. Un livello che il capitalismo non può né sviluppare né garantire e anzi limita, erode ed elimina per parti crescenti della popolazione, un livello che può essere mantenuto e sviluppato solo nel contesto di una società di tipo superiore, il socialismo.
Cosa è il socialismo? I tre pilastri. Il socialismo è la fase di transizione dal modo di produzione (e dalla società) capitalista al comunismo. Si basa su tre pilastri: la dittatura del proletariato, la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, la crescente partecipazione delle masse popolari alla gestione della società.
La dittatura del proletariato. “Lo Stato (il governo, la polizia, la magistratura, le forze armate, la pubblica amministrazione e tutte le altre istituzioni del potere) deve essere nelle mani della parte rivoluzionaria e organizzata della classe operaia e delle altre classi delle masse popolari. Lungo tutta la fase socialista (intesa come fase inferiore del comunismo, come fase in cui la nuova società porta ancora forti tracce della società borghese da cui proviene) esisterà lo Stato, come istituzione distinta dal resto della società, con il monopolio dell’uso della violenza e specificamente dedicata alla repressione. Lo Stato si estinguerà man mano che 1. saranno le organizzazioni in cui a ogni livello (unità produttiva, abitazione, ecc.) sono associate le masse popolari a far fronte ai comportamenti asociali di singoli senza più bisogno di un apparato nazionale appositamente dedicato a questo scopo, 2. il socialismo sarà instaurato in tutti o almeno in gran parte dei paesi e, di conseguenza, le contraddizioni tra paesi e nazioni si saranno estinte perché avremo creato un sistema internazionale di collaborazione.
Finché sarà necessario che lo Stato esista, esso deve essere nelle mani della parte più avanzata e organizzata dei lavoratori che creerà istituzioni e procedure adeguate a reprimere i tentativi di rivincita della borghesia imperialista e del clero, a garantire il funzionamento collettivo della società, a promuovere su scala sempre più larga la partecipazione delle masse popolari alle attività da cui le classi dominanti le hanno da sempre escluse e che quindi oggi esse non sono già in massa capaci di esercitare. Questo è la democrazia proletaria, un ordinamento che supera la democrazia borghese ed è uno scandalo per quelli che credono nella democrazia borghese. Infatti la democrazia borghese è la finzione che il voto renda uguali Marchionne e l’operaio FCA: è la finzione dell’eguaglianza di diritti politici per tutti i cittadini senza tener conto delle differenze tra di essi in campo economico (per quanto riguarda la proprietà dei mezzi di produzione, la partecipazione alla distribuzione del prodotto, i rapporti nel processo lavorativo), cioè delle differenze di classe che invece sussistono. Queste rendono le classi diseguali anche per quanto riguarda l’esercizio dei diritti politici e la partecipazione dei singoli individui alla gestione delle attività statali. Il proposito proclamato dalla Costituzione Italiana del 1948 di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese” (art. 3) è rimasto e non poteva che rimanere lettera morta proprio perché quegli ostacoli sono connaturati al sistema capitalista e la loro rimozione quindi comporta che si elimini il capitalismo”.
La proprietà collettiva dei mezzi di produzione. “L’apparato economico del paese (l’uso delle risorse naturali e delle infrastrutture, la produzione e la distribuzione di beni e servizi) deve essere gestito secondo un piano pubblicamente approvato e volto a soddisfare i bisogni individuali e collettivi della popolazione. Quindi le aziende, le infrastrutture e le reti, le risorse naturali impiegate nella produzione, ecc. devono essere per l’essenziale pubbliche: le forze produttive, salvo la forza-lavoro individuale, devono cioè essere proprietà pubblica e devono essere fatte funzionare in ogni paese secondo un piano nazionale coordinato quanto più via via sarà possibile con quello degli altri paesi. In Italia, ad esempio, aziende come la FCA, l’Ilva, la Piaggio, le banche e le assicurazioni e tutte le altre principali aziende capitaliste devono essere immediatamente nazionalizzate, espropriandole ai capitalisti e alle società finanziarie”.
“Il sistema economico attuale è come un intenso traffico aereo senza codici, regole e piani di volo. Gli uomini sono capaci di regolare il traffico aereo, l’ordine pubblico, il servizio sanitario pubblico, l’istruzione pubblica, sono capaci di mobilitare milioni di uomini a fare la guerra: ritenere che non siamo capaci di organizzare e far funzionare un apparato produttivo è essere succubi dei pregiudizi che la borghesia diffonde, essere imbevuti del pregiudizio borghese che senza l’iniziativa economica privata… non si riuscirebbe a produrre il disastro in cui siamo travolti, direbbe una persona che osserva la realtà per quello che realmente è!”
La crescente partecipazione delle masse popolari alla gestione della società. “Lo Stato deve mettere in opera da subito, senza riserve, tutte le iniziative adatte a promuovere la massima partecipazione della massa della popolazione, in particolare delle classi finora escluse, alla gestione della vita sociale, alle attività politiche, culturali, sportive e ricreative, in particolare tutte le misure utili a mobilitare anche le donne a partecipare alla vita sociale ed emanciparsi dall’oppressione degli uomini e dai compiti domestici. L’educazione delle nuove generazioni deve essere cura delle autorità pubbliche e dell’intera società ed essere condotta secondo le conoscenze più avanzate, senza risparmio di mezzi e mirata a educare uomini e donne capaci di partecipare pienamente alla gestione della vita sociale.”
Questi tre aspetti del socialismo sono connessi l’uno all’altro. Uno non può esistere a lungo senza l’altro, ognuno decade e cambia di natura se gli altri non si sviluppano. L’esperienza dell’Unione Sovietica, nei 40 anni di costruzione (1917-1956) e nei successivi 35 anni di disgregazione (1956-1991) che l’hanno portata al collasso, ha mostrato anche nella pratica che questi tre aspetti sono connessi e che dobbiamo quindi praticarli tutti e tre. Il primo di essi è e deve essere l’inizio e la garanzia degli altri due, ma deve sviluppare in misura crescente gli altri due”.
Vogliamo aprire un confronto, un dibattito, con quelli che alla parola “alternativa” vogliono accostare l’aggettivo “possibile”, oltre che l’aggettivo “necessaria”. In tutte le Sezioni sarà discusso il comunicato del (nuovo)PCI n. 15/2016 del 26 agosto 2016 “Appello del (nuovo)Partito comunista italiano – la sola via d’uscita è la rivoluzione socialista!” (da cui sono tratte le citazioni sui tre pilastri del socialismo), in tutte le Sezioni organizziamo corsi di studio collettivo del Manifesto Programma del (nuovo)PCI che è il testo di riferimento più esaustivo e completo per formarsi e formare; le nostre Sezioni sono aperte.
La concezione comunista del mondo schiude la via per il che fare e per il come farlo a partire da un’affermazione semplice che è inizio, e non conclusione, del ragionamento: il comunismo è il futuro dell’umanità.
I giovani, il socialismo e la rinascita del movimento comunista in Italia
Alla Festa di Riscossa Popolare di Napoli e di Massa si sono tenuti due tavoli e due dibattiti sul tema: “I giovani e il socialismo”. Essi sono frutto della rettifica nella linea del nostro lavoro giovani, dove stiamo imparando a mettere al centro del nostro rapporto, in particolare con gli studenti, non più gli
aspetti rivendicativi, la mobilitazione per far ritirare questa o quella riforma, per risolvere questo o quel problema contingente, ma la costruzione della rivoluzione, l’instaurazione del socialismo, il percorso per arrivarci, valorizzando a questo fine anche gli aspetti rivendicativi e contingenti. Parlare ai giovani di socialismo significa arrivare a ragionare su cosa dobbiamo imparare a fare per promuovere organizzazioni giovanili, che si pongano da nuove autorità pubbliche, che si coordinino con il resto delle organizzazioni popolari e in particolare operaie fino costituire un proprio governo di emergenza: significa ragionare sul contributo che i giovani possono dare alla costruzione delle condizioni per il Governo di Blocco Popolare, la via nel nostro paese per avanzare verso il socialismo, e sui mezzi che devono darsi per farlo.
Ai dibattiti e ai tavoli hanno partecipato giovani provenienti da varie parti d’Italia, che si sono scambiati le esperienze condotte nei rispettivi territori.
In particolare si è discusso del mondo virtuale in cui la borghesia con il suo sistema di intossicazione delle coscienze intrappola i giovani, dell’importanza della formazione come strumento per uscirne e per rendersi capaci di contribuire alla costruzione dell’alternativa, della questione del potere politico.
Il comunismo è il futuro dell’umanità e il socialismo è nell’ordine delle cose: la presenza di tanti giovani che a queste feste hanno discusso attivamente di come costruire la rivoluzione ne è la prova migliore.