Marx e Engels, i fondatori del movimento comunista cosciente e organizzato, hanno definito perché e come l’instaurazione del socialismo è possibile e il comunismo non è un obiettivo più o meno bello inventato da un genio o un ideale astratto, ma un obbiettivo pratico: è il risultato verso cui tende spontaneamente la società capitalista. Il socialismo è un obiettivo ricavato dallo studio della natura e dello sviluppo della società capitalista. La lotta per instaurare il socialismo sviluppa la società attuale secondo le leggi sue proprie, rompendo le catene imposte dalla borghesia che soffocano il mondo. Ma per fare andare concretamente la società in quella direzione è necessaria l’azione cosciente (con scienza) e organizzata (Partito comunista e organizzazioni di massa) dei comunisti che si danno i mezzi della loro politica. L’instaurazione del socialismo è possibile perché la sua forza motrice è la più organizzata delle classi delle masse popolari, la classe operaia: infatti il primo passo della rivoluzione socialista è la mobilitazione e l’organizzazione degli operai avanzati nel Partito comunista. Questo è l’insegnamento che proviene dalle rivoluzioni socialiste vittoriose (dalla Rivoluzione d’Ottobre alla Rivoluzione Cinese e dall’esperienza dei primi paesi socialisti).
Se non si è ancora instaurato il socialismo nei paesi imperialisti è principalmente perché i dirigenti del movimento comunista non hanno saputo scoprire e indicare la strada e questo è questione di dedizione alla causa e di coscienza (di scienza) che non si sono combinati nelle stesse persone e negli stessi organismi. La sinistra dei vecchi partiti comunisti dei paesi imperialisti, infatti, leggeva Marx, Engels, Lenin e Stalin, li propagandava e venerava, ma nell’attività pratica, nella lotta politica si orientava a buon senso, a naso, a senso comune facendo quello che sembrava meglio nell’interesse dei lavoratori.
Nel corso di più di 30 anni la Carovana del (n)PCI ha elaborato e arricchito la scienza (concezione comunista del mondo) del movimento comunista: sul bilancio della prima ondata della rivoluzione proletaria (le numerose vittorie e conquiste e l’origine della sua sconfitta), sulla natura della crisi in corso, sul regime di controrivoluzione preventiva, sulla Repubblica Pontificia, sulle tappe della putrefazione del regime DC, sull’analisi della situazione internazionale e nazionale, sul bilancio della nostra attività, sulla linea generale e particolare, su campi e linee specifiche di intervento, sui principi, criteri, metodi e strumenti che i comunisti devono adottare. Dal bilancio dell’esperienza emerge, e il corso delle cose lo conferma, che per conoscere, comprendere e trasformare la realtà i comunisti devono assimilare, elaborare e usare la scienza delle attività con cui gli uomini fanno la loro storia, la concezione comunista del mondo. E’ questa che alimenta la granitica certezza nel socialismo e che permette di affrontare ogni avversità. Quanto meno si studia, si assimila e si applica la concezione comunista del mondo, tanto meno risultati si hanno dal lavoro che facciamo. Quanto meno risultati abbiamo dal lavoro che facciamo, tanto più si alimentano disfattismo e demoralizzazioni tra le nostre file e si conferma o addirittura si rafforza l’influenza della borghesia e del clero: l’opinione (fomentata ad arte dai grandi mezzi di diversione, confusione e intossicazione della borghesia e del clero) che non c’è niente da fare, che è sempre stato così e sempre sarà così! Da destra e sinistra ci martellano che il socialismo è impossibile, che i lavoratori e le masse popolari non possono governare il paese (non è possibile altro governo che quello della borghesia, “non avrai altro dio all’infuori di me!”), che le organizzazioni operaie e popolari non possono agire da nuove autorità pubbliche, ecc. In sostanza il ritornello è: bisogna subire il corso disastroso delle cose, al massimo è possibile denunciare, imprecare e protestare e… sperare che la rivoluzione prima o poi scoppi.
In questa situazione solo i comunisti che hanno assimilato a un certo livello la concezione comunista del mondo riescono a vedere e comprendere come è possibile dirigere il corso delle cose a favore della rivoluzione socialista, riescono a elaborare, inventare e cambiare (tradurla nel particolare) a secondo delle circostanze particolari (della zona, delle classi, del momento storico) e concrete (del momento, delle persone, ecc.) la linea GBP, come strada per far fronte alla mobilitazione reazionaria e avanzare nella lotta per il socialismo.
Grazie alla comprensione della scienza comunista è possibile comprendere l’origine e la natura dei nostri limiti (il basso livello intellettuale e morale che non ci porta ancora a essere un solido punto di riferimento per i lavoratori e le masse popolari che cercano una via per uscire dall’attuale marasma). Per questo diciamo che i comunisti sono chiamati a fare una radicale riforma intellettuale, a studiare e assimilare (al livello adeguato al ruolo che ognuno ricopre) la concezione comunista del mondo e tirarne le conseguenza sul piano del comportamento e dell’attività.
Il Partito è un organismo che si trasforma per evoluzioni graduali e per salti. Se un compagno, in particolare un dirigente, non segue questa trasformazione del Partito, non svolge la propria riforma intellettuale e morale e non si affida al collettivo, non accetta di dare il proprio contributo alla causa del comunismo da qualunque posizione e compito il Partito gli affida, finisce con il perdere sempre più terreno e regredire, fino a porsi fuori dal Partito. E’ quanto successo a Massimo Amore.
Massimo Amore è un compagno di lungo corso della Carovana: ha partecipato, con il gruppo Communards di Napoli al Convegno di Viareggio nel ’92 in cui i CARC furono fondati, è stato a sua volta fondatore del CARC di Napoli nel ’95, ha sempre svolto compiti di rilievo nazionale, tra cui la direzione dell’Associazione Solidarietà Proletaria.
Nella sua lettera di dimissioni (16 ottobre 2015) scrive: “Il motivo principale di questa scelta che ho ben ponderato, è che non condivido più la linea di questo Partito, non condivido più la linea del GBP. Questa mia presa di posizione per molti compagni del Partito potrà apparire incomprensibile visto che veniamo solo da pochi mesi dal IV Congresso, dove all’unanimità tutti i delegati, quindi io compreso, hanno approvato la Dichiarazione Generale e le 4 Risoluzioni che argomentano e sostanziano la rotta che il Partito percorrerà nei prossimi anni. Come sia stato possibile che per anni e fino a quest’ultimo Congresso di Partito io abbia sostenuto e propagandato la linea del GBP è presto detto: indentitarismo e spirito di disciplina per l’unità di Partito ad ogni costo. Questi sono stati i presupposti della mia adesione alla linea del GBP.
Dopo 7 anni di sperimentazione della linea del GBP il dubbio che negli ultimi anni si andava allargando nella mia coscienza si è trasformato nella convinzione che la linea adottata dal Partito non risponde alla realtà, che non porta a risultati utili all’incremento della mobilitazione rivoluzionaria delle masse popolari.
La mancanza di convinzione nel seguire la tattica del GBP, non è per me la condizione migliore per potermi lanciare con dedizione nel lavoro del P.CARC. Sono alcuni anni che il mio entusiasmo all’interno di questo partito è progressivamente calato, che non opero nell’ambito dell’organizzazione con l’impegno che mi si richiede, che non sono motivato nell’adempimento dei compiti che mi sono stati assegnati. Il mio indugiare nel ricandidarmi in questa DN è stato sintomatico del disagio che vivevo e su cui ancora una volta, sbagliano, ho pensato di superare il dubbio che covavo”.
La Direzione del Partito ha accettato le sue dimissioni, non per le motivazioni contenute nella sua lettera.
Se il compagno avesse veramente avuto dubbi o dissensi a proposito del GBP (a proposito del quale, tra l’altro, nella Dichiarazione Generale approvata al IV Congresso spieghiamo chiaramente che non è né un momento di transizione al socialismo né l’unica via possibile per arrivare all’instaurazione del socialismo) aveva modo di discuterli con i metodi e negli ambiti propri di un partito di comunisti – tanto più che siamo reduci da un’intensa stagione congressuale – e facendo scientificamente l’analisi del corso delle cose, non sulla base dell’evidenza, del senso comune e degli stati d’animo diffusi dai nostri nemici. Le sue motivazioni non entrano infatti nel merito dei problemi ideologici reali che sono all’origine di questo arretramento.
In realtà la decisione del compagno di dimettersi è lo sbocco di un percorso di crescente divaricazione tra il Partito che avanzava e il compagno che seguiva un percorso in cui alternava slanci e ricadute nella passività, nel fare senza convinzione e senza darsi gli strumenti per attingere certezza nella vittoria dall’analisi scientifica del corso delle cose, nel seguire le attività senza iniziativa e senza creatività, di conseguenza con scarsi risultati e senza soddisfazione. L’indecisione nello svolgere la propria riforma intellettuale e morale, la non partecipazione con un ruolo attivo (coerente con il ruolo di dirigente nazionale) alla Lotta ideologica attiva (LIA) condotta dal Partito nel 2014-15 in Campania e la resistenza ai prolungati sforzi compiuti dal Partito per sostenere la sua formazione e trasformazione, hanno portato un compagno di lungo corso della Carovana del (n)PCI a dimettersi.
Alla base di questo di questo comportamento vi è stata:
1. la resistenza del compagno nel compiere una radicale riforma intellettuale, a studiare e assimilare (al livello adeguato al suo ruolo) la concezione comunista del mondo e tirarne le conseguenza sul piano del comportamento e dell’attività. L’adesione identitaria, di cui parla nella lettera, frena, ostacola l’azione dei dirigenti e chi non studia e non elabora non riesce a dirigere: solo chi assimila la concezione comunista del mondo e fa con questa un’analisi conseguente del corso delle cose a livello internazionale e nazionale, ha la certezza che la costituzione del GBP è l’unica alternativa realistica alla mobilitazione reazionaria e quindi partecipa con passione, entusiasmo e creatività alla multiforme attività che la Carovana del (n)PCI svolge per creare le condizioni della sua costituzione.
2. Una concezione del Partito che non ha niente a che fare con quella esposta da Lenin nel Che fare? (1902) e la non condivisione della tesi di Stalin che “il partito epurandosi dagli elementi irriducibilmente arretrati si rafforza”. Il compagno non ha mai concepito la lotta tra le due linee come strumento di sviluppo e crescita del Partito, come fenomeno permanente e legge universale (la realtà si sviluppa tramite la divisione dell’uno in due: una parte va a destra e una va a sinistra). Da qui la visione dello sviluppo del Partito come una progressiva e costante accumulazione di forze (mettere al centro la quantità e non la qualità, voler tenere tutti i compagni dentro al Partito e a tutti i costi – unità al ribasso, che porta a mortificare la sinistra, a far marcire le forze accumulate e che frena l’accumulazione di nuove forze). E’ questa concezione che lo ha portato a coltivare una visione individualista e soggettivista del Partito e ha determinato la passività del compagno nella LIA in Campania (che non ha condiviso e in cui si è posto come spettatore, nonostante fosse il principale dirigente e, quindi, il compagno che più di altri era chiamato a trasformarsi), il suo scontento per gli esiti della LIA (di cui vedeva principalmente la defezione di alcuni compagni, ma non gli avanzamenti in corso in diversi campi e il fiorire di una schiera di compagni animati dalla volontà di avanzare e trasformarsi in comunisti). E’ questa concezione che lo ha portato alla diserzione: abbandono repentino di ogni attività (non “regolando la cosa in modo da nuocere il meno possibile al lavoro del P.CARC” come recita l’art. 19 dello Statuto ), trattare la questione negli organismi inferiori (la sezione di Napoli che dirigeva) prima che nell’organismo dirigente (la Direzione Nazionale), ecc.
L’epilogo della lunga militanza del compagno nelle fila della Carovana del (n)PCI non cancella l’apporto da lui dato e ciò che ha contribuito a costruire, in particolare il concentramento di forze in Campania. L’individuo è per sua natura fragile, sottoposto agli accidenti della vita, può venir meno, mentre il collettivo, il Partito resta, è superiore al singolo individuo ed è in grado di raccogliere il meglio dato da ogni compagno, di superarne le difficoltà e gli arretramenti, di proseguire e sviluppare il lavoro a cui il singolo compagno ha contribuito. L’esperienza del movimento comunista internazionale e la storia trentennale della Carovana del (n)PCI hanno ampiamente confermato questa legge.
Il principale insegnamento traiamo da questa vicenda, che riguarda tutti i comunisti del nostro Paese, è che dobbiamo procedere con più passione e determinazione nella Riforma Intellettuale e Morale necessaria e urgente perché il Partito sia all’altezza della situazione.