“C’è un complotto per farci vincere le elezioni a Roma” questa l’uscita di Paola Taverna del M5S il 16 febbraio “vogliono metterci in difficoltà per dimostrare che non siamo capaci di governare”. Dopo un’ondata di derisioni e insulti ha in parte ritrattato la dichiarazione (“sono stata fraintesa”), ma le parole rimangono, e il ragionamento anche, come occasione per capire cosa si muove dentro il M5S e in che contesto si muove il M5S, che la Taverna sia stata fraintesa o meno.
Vincere le elezioni di una delle grandi città del paese per il M5S significa dover “fare i fatti”, governare. Non basta più essere onesti e indefessi, non basta più dare il buon esempio di “come si dovrebbe fare” a Milano, a Napoli, a Torino, ma soprattutto a Roma dove ha le maggiori possibilità di vincere. Governare in nome di chi? Con che programma adatto a fare fronte alle tante emergenze? Si sciolgono come neve al sole gli slogan “governare per i cittadini”; il M5S non ha ancora chiaro quali sono gli interessi che vuole affermare, il campo che vuole rappresentare e “servire”, è in corso una lotta interna che gli effetti della crisi economica, la crisi politica e il movimento delle masse popolari acuiscono e aggravano.
L’uno si divide in due. Da una parte la base attiva, molto ridimensionata rispetto al 2013 e una parte degli eletti sopravvissuti alle epurazioni e al mercato delle vacche (c’è anche chi è finito nel PD), dall’altra i vertici e la parte di eletti che vi si sono via via stretti attorno, anche loro divisi in correnti di pensiero e orientamento. Su questi schieramenti emerge la contraddizione di fondo del M5S, quella intrinseca e che era rimasta in secondo piano nella fase di irruzione nel teatrino della politica del 2013. La testa del M5S appartiene alla classe dominante, risponde alle sue logiche, condivide gli stessi interessi. Non condivide il corso delle cose che i vertici della Repubblica Pontificia impongono al paese, ma non mette in discussione il sistema su cui poggia, il capitalismo; vorrebbe riformarlo e al massimo migliorarlo, non superarlo. Perchè superare il capitalismo vorrebbe dire estinguersi. Le dichiarazioni della Taverna, fraintese o meno, danno voce a questa paura nel modo che è proprio al M5S: denunciare le responsabilità degli altri. Ma la questione è esattamente quella.
La testa del M5S non vuole vincere le elezioni, aspira ad accreditarsi come opposizione matura e responsabile agli occhi dei vertici della Repubblica Pontificia; la seconda componente ha invece propriamente paura di vincere le elezioni perché non ha gli strumenti (concezione del mondo, linea) per concepirsi parte attiva nella costruzione del governo di emergenza delle masse popolari organizzate, il Governo di Blocco Popolare.
Stanti le condizioni generali (vedi Siamo in una situazione rivoluzionaria in sviluppo… pag. 1) la vittoria del M5S alle elezioni, e non un “onorevole secondo posto”, aprirebbe una fase nuova:
– dimostrerebbe su ampia scala e senza appello che la via delle elezioni non serve a governare il paese (e nemmeno ad amministrare le grandi città) e in certo senso favorirebbe la spinta all’autorganizzazione popolare;
– costringerebbe, incoraggerebbe e convincerebbe la parte più sana, democratica e popolare del M5S ad assumere un ruolo positivo per sviluppare quella spinta;
– acuirebbe la contraddizione fra le due componenti del Movimento.
Ecco perché il M5S fa di tutto per arrivare secondo in tutte le grandi città.