Come trasformare la repressione contro gli studenti in una scuola di comunismo

 

repressione alberti

Sul numero 1/2016 di Resistenza abbiamo pubblicato l’intervista a una studentessa del liceo Alberti di Firenze che metteva in luce in modo efficace i contenuti dell’occupazione contro la riforma Giannini e la risposta repressiva di preside e Questura. Rimandiamo alla lettura di quell’articolo per i dettagli, qui riprendiamo il discorso da dove lo avevamo lasciato: dalle denunce contro gli studenti, dalle convocazioni in Questura o nella caserma dei Carabinieri per “colloqui” senza avvocato, dai tentativi di intimidire gli studenti attraverso la logica della dissociazione per arrivare a punirne un gruppo su cui far ricadere la responsabilità di una protesta collettiva.

Una panoramica. Da inizio gennaio le cronache hanno riportato, in modo sparso e incompleto, le notizie dei provvedimenti disciplinari e repressivi contro gli studenti medi e universitari che sono stati accusati a vario titolo per le proteste studentesche degli ultimi anni: condanne per sedici studenti romani e cinque studenti milanesi per le proteste contro la riforma Gelmini, pugno di ferro dei presidi di Bologna contro i promotori delle occupazioni dei mesi scorsi (sospensioni, lavori socialmente utili, multe). Una campagna repressiva di ampio respiro, dunque, in cui rientrano anche gli studenti fiorentini dell’Aberti e dell’ISA (39 sospensioni che sembravano ritirate grazie alla campagna di solidarietà sono invece state confermate).

Preside – padrone (la Buona Scuola!). La Sezione di Firenze del P.CARC ha stretto un legame con gli studenti dell’Alberti e li sostiene nella battaglia contro la repressione e le rappresaglie, avrebbe dovuto tenersi un’assemblea di Istituto (alla quale il Consiglio aveva dato il consenso) in cui tre nostri compagni: avrebbero dovuto intervenire per presentare il Manuale di Autodifesa Legale e per portare l’esperienza di una di loro, coinvolta nel recente passato proprio in un processo legato al movimento studentesco e uscita assolta insieme agli altri imputati grazie alla linea “di rottura” promossa dal Partito.
Forse saprete che uno dei punti più controversi della Buona scuola sono i poteri conferiti al preside (oltre che assumere e licenziare gli insegnanti decide su tutto quello che succede nell’istituto), ebbene quella dell’Alberti ha pensato bene di revocare il permesso all’assemblea in quanto i nostri compagni non sono graditi.
Ovvio che i divieti della preside ai nostri compagni non fanno né caldo né freddo: se pensa di impedire la nostra partecipazione alla mobilitazione degli studenti vive su un altro pianeta! Ma perché la preside è tanto contraria alla nostra partecipazione all’assemblea?

Due linee. Finché si guarda alla mobilitazione degli studenti come a una pittoresca manifestazione di ribellismo giovanile destinato a esaurirsi (come fanno tanti delusi, nostalgici e denigratori del ‘68, ad esempio), vedere che gli studenti vengono intimiditi, puniti, fatti oggetto di rappresaglia, minacciati, educati al pentitismo e alla delazione fa poco scandalo. Noi vediamo nelle mobilitazioni degli studenti tante energie che si infrangono nel ribellismo solo perché non sono valorizzate in un processo di prospettiva, perché si muovono principalmente sul contro anziché sul per, perché sono state spesso strumentalizzate e usate dalla sinistra borghese e il movimento comunista, per debolezza propria, non è riuscito a farne ambito di formazione, educazione e organizzazione. Pertanto, prima di tutto, diciamo subito che gli attacchi repressivi sono una grande scuola e una grande selezione: chi non si lascia abbattere, convincere, impaurire e demotivare è spinto ad avanzare. Questa considerazione sta a monte, a valle ci sta:
– che Questura, preside e finti amici dicono che la repressione si scatena perché per due giorni, tanto è durata l’occupazione dell’Istituto Alberti, è stato interrotto il pubblico servizio. Balle! Ciò che polizia, magistrati e giudici perseguitano non sono “reati comuni” (peraltro di ridicola entità a fronte delle devastazioni provocate da padroni, speculatori e politicanti democratici!), ma l’attivismo degli studenti e la determinazione a non piegarsi alle leggi dello Stato;
– che è legittimo tutto ciò che è conforme agli interessi delle masse popolari, anche se è considerato illegale! Ecco perché è fra il ridicolo e l’indegno l’invito rivolto ad alcuni studenti (anche dai loro difensori!) di presentarsi agli interrogatori ammettendo il reato. La linea di chiedere scusa e promettere che non lo si farà più apre le porte alla dissociazione e al collaborazionismo, oltre che a pesanti condanne;
– che è riduttivo e perdente limitarsi a essere coscienti che la repressione colpisce chi si mobilita e limitarsi a raccogliere i soldi per le spese legali: la repressione va rivoltata (si può) contro chi la scatena con campagne di solidarietà, costruendo fronti comuni di lotta con altri organismi studenteschi, con lavoratori, con aggregati politici, associativi, sindacali; con campagne di denuncia per promuovere lo schieramento dell’opinione pubblica (non è vero che le masse non capiscono, guardiamo gli autisti ATAF, sempre a Firenze, colpiti da denunce e multe per gli scioperi “selvaggi”).

Se è vero che la linea autoritaria dei presidi è un effetto della Buona Scuola allora la lotta alla repressione può diventare un ambito di rilancio per il boicottaggio di questa riforma. Come? Anzitutto occupandosi della propria scuola, chiamando tutti gli studenti del proprio Istituto e i lavoratori (docenti e personale ATA) a solidarizzare con i denunciati per costruire un fronte compatto a sostegno di chi si è mosso per difendere il diritto dei ragazzi a studiare e del personale scolastico a lavorare. Sì, perché se c’è qualcosa che lede gli interessi dei lavoratori è proprio questa legge e non l’occupazione. In secondo luogo, uscendo dalla propria scuola cioè: coordinandosi con le altre scuole e con il resto delle masse popolari della propria città (con insegnanti di altri istituti, con i genitori, amici e parenti solidali, con i lavoratori).
Su questo fronte è essenziale l’azione di coordinamento tra studenti dell’Alberti e dell’ISA, lo scambio d’esperienza e il confronto per definire una linea che faccia “da scuola” anche per gli altri.
Ecco, questo i nostri compagni di Firenze avrebbero detto nell’assemblea con gli studenti. E avrebbero concluso così: bando allo scoramento, avanti nella lotta!

 

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