Non stiamo a raccontare in dettaglio le vicende (non ancora concluse) dell’ultimo episodio della distruzione dell’Alitalia, le diamo per conosciute dai nostri lettori: anche i giornali borghesi hanno riportato quanto basta per capire e confermare la lezione che occorre trarne. Di questa ci occupiamo.
Le vicende Alitalia di questi mesi sono l’ultimo episodio di una storia che va avanti da anni. Di sicuro molti nostri lettori ricordano quando il governo Berlusconi privatizzò Alitalia, le lunghe trattative con Air France e altri aspiranti acquirenti e le manovre che le accompagnarono e seguirono. Anche in questo, il governo Renzi non fa che continuare la guerra contro i lavoratori e contro l’Italia tutta condotta dai governi che l’hanno preceduto: cambiano facce e parole, aumentano la presunzione e l’arroganza, ma i fatti restano quelli. Questo lo si vede, la ragione è la crisi generale del capitalismo, la particolarità (l’anomalia) è la Repubblica Pontificia.
L’accordo con Etihad con i duemila duecento lavoratori buttati fuori e tenuti buoni con promesse e ammortizzatori sociali è solo un episodio e niente assicura che è la conclusione della storia, se i vertici della Repubblica Pontificia continueranno ad avere mano libera. Già da subito i sussidi che spetterebbero ai licenziati sono presentati come un peso che strozza gli altri lavoratori e tarpa le ali all’“economia nazionale”. I lavoratori estromessi sono meno degli “esuberi” proclamati all’inizio. Lavoratori a salari inferiori e con meno diritti abbondano.
Aspettare che il padrone voglia smantellare un’azienda e mettere i lavoratori della singola azienda di fronte al dilemma fra soccombere ai diktat della classe dominante o resistere a oltranza, lascia in sospeso come si potrebbe portare avanti una tale resistenza, dato che non è possibile resistere a oltranza senza prospettiva di vincere. Ai lavoratori dell’Alitalia il governo Renzi ha posto un ricatto: se respingevano l’impostazione dei padroni (tagli di posti di lavoro, tagli di salari, aumento della “produttività”, precarietà…), sarebbero stati licenziati in massa…. Resistere sarebbe servito a poco, sarebbe stato un atto di coraggio, ma eroismo senza prospettiva di vincere. Si è riproposta in Alitalia una situazione simile alla vertenza della ex-Bertone nel 2011, quando all’ennesimo ricatto di Marchionne la FIOM cedette, perché non aveva pensato a prevenire il padrone e non avrebbe saputo gestire le conseguenze di un “NO” al ricatto che in quell’ambito poteva riscuotere la maggioranza dei voti. L’imbarazzo della sinistra dei sindacati, compresi quelli “di base” e “conflittuali”, è tutta racchiusa in questo dilemma, nell’incapacità di dare prospettiva alla difesa dei posti di lavoro restando sul terreno dell’azione sindacale. Perché lo scontro ormai non è più sindacale: riguarda la direzione complessiva del paese. E’ uno scontro fra due diversi sistemi sociali, quindi uno scontro politico. O previeni il padrone o subisci la miseria e la guerra verso cui per i suoi interessi ti porta, perché la crisi generale del capitalismo ai capitalisti non lascia altra via.
Questo episodio e l’intera storia dell’Alitalia sono casi esemplari, paradigmatici della storia passata di altre aziende (FIAT, Irisbus, Lucchini, Alcoa, ecc.) e della storia che ne attende altre (ThyssenKrupp, Electrolux, ILVA, Piaggio, ecc. per restare a casi universalmente conosciuti) se gli operai e tutto il movimento popolare non fanno un salto in avanti, se la lotta per la costituzione del Governo di Blocco Popolare non passa a un livello superiore.
E’ la morte lenta a cui la borghesia imperialista e il suo clero di fronte alla crisi generale del capitalismo condannano le aziende, nel nostro e in altri paesi imperialisti, dove la classe operaia e le masse popolari nel corso della prima ondata della rivoluzione proletaria hanno strappato conquiste di civiltà e benessere e diritti che per i capitalisti sono costi di produzione. Sono già migliaia gli scheletri di fabbriche che costellano il nostro paese e intristiscono quelli che non si indignano e non si rimboccano le maniche contro i Colaninno, i Marchionne, i Riva, i Renzi & C. che impongono questo scempio. Cerchiamo quindi di capire la logica della storia Alitalia, che è la logica della storia delle altre aziende e la lezione che bisogna tirarne, cosa fare.
Per i capitalisti e le loro autorità un’azienda serve a produrre profitti (la produzione di beni e servizi per un capitalista è solo un mezzo per valorizzare il suo capitale). Quindi se un’azienda non produce profitti, non ha senso che esista: va chiusa. Se l’azienda produce profitti, ma lo stesso capitale può produrre profitti maggiori impiegandolo in altri modi, anche in questo caso per il capitalista l’azienda non ha senso che esista. Oggi il mercato finanziario e la speculazione offrono a ogni capitalista terreni allettanti di investimento alternativi all’investimento industriale. Da quando il movimento comunista ha perso slancio, il mondo è pieno di paesi dove il capitalista può ricavare più profitti che in un paese imperialista. La riduzione dei salari e dei diritti, la riduzione dei costi, i contributi pubblici, i permessi di inquinare e devastare il territorio non cambiano il corso delle cose. Le autorità di un paese prima o poi surclassano quelle di un altro nell’offrire ai capitalisti migliori condizioni di valorizzazione del loro capitale. La competizione è una lotta in cui tutti i capitalisti, tutti i governi, tutte le amministrazioni locali si possono lanciare: alla fine gli operai ci perdono in salario, condizioni di lavoro, condizioni di vita e prima o poi perdono anche il posto di lavoro e tutte le masse popolari ne subiscono le conseguenze. Ridurre, chiudere, delocalizzare aziende rientra nella selezione operata dal capitalismo in crisi, che porta alcune porzioni di capitale a soccombere in favore di altre: una selezione che porta in ogni paese imperialista alla distruzione di forze produttive, conoscenze, competenze, oltre che di posti di lavoro. Gli ammortizzatori sociali rendono la morte più lenta e smorzano la resistenza: non cambiano il corso delle cose.
Lo smantellamento dell’Alitalia, come la chiusura delle altre aziende, è un atto di guerra: colpendo la classe operaia colpisce tutto il paese, è l’ennesima svendita di un patrimonio di tutti, è un impoverimento anche in termini di capacità e competenze lavorative, è la distruzione di un’azienda che forniva un servizio che resta necessario, ma l’azienda nella logica del capitalismo deve soccombere. Va inserita nello stesso bollettino di guerra con i tagli alla sanità, ai trasporti pubblici, all’istruzione, alla ricerca, alla manutenzione del territorio, del patrimonio edilizio e delle infrastrutture, alla prevenzione dei “disastri naturali” e delle malattie, a tutti i servizi pubblici. Questa è la storia che stiamo vivendo.
Proviamo ora a immaginare un’altra storia.
Per noi comunisti, per gli operai comunisti e per gli interessi oggettivi delle masse popolari, ogni azienda non è solo quello che è per il capitalista: in realtà ogni azienda
1. è anche un centro di produzione di beni e servizi, con specifiche competenze, conoscenze e corrispondenti attrezzature, organizzazione e relazioni;
2. è anche un collettivo di lavoratori oggettivamente costituito, capace di una vita politica, sindacale e culturale più o meno intensa (l’intensità dipende sostanzialmente dallo stato generale del movimento comunista cosciente e organizzato, ma anche dalla coscienza e dall’iniziativa dei lavoratori dell’azienda);
3. può essere (e in una certa misura comunque già è) un centro di orientamento, di aggregazione, di organizzazione e di direzione delle masse popolari della zona circostante e di connessione di queste con la lotta di classe dell’intero paese.
Immaginiamo ora che in Alitalia e in altre aziende si formino organizzazioni operaie decise ad assumersi il compito di far vivere e sviluppare questi tre aspetti della loro azienda; che non aspettano che il padrone chiuda o riduca, ma che pensano loro che ruolo può avere la loro azienda, che elaborano loro un progetto perché la loro azienda continui a fornire alla società beni o servizi di cui la società ha bisogno e perché le altre aziende forniscano i beni e servizi di cui la loro azienda ha bisogno; che attorno al loro progetto uniscono la massa dei lavoratori dell’azienda e ottengono il concorso, la consulenza e l’appoggio di altri lavoratori, compresi tecnici di altri settori della società. Proprio perché sono centinaia le aziende che i capitalisti smantellano, i vertici della Repubblica Pontificia non hanno oggi la forza per reprimere un simile movimento. Devono subirlo, come oggi si rassegnano agli ammortizzatori sociali, che per loro sono un costo e uno spreco. Ma un simile movimento per i lavoratori non è solo sopravvivenza: porta alla nascita di nuove autorità popolari, di istituzioni locali di un nuovo potere che deve soppiantare l’attuale potere in rovina dei vertici della Repubblica Pontificia: è la conquista di posizioni nella guerra contro di essi.
E’ un sogno? Certo, oggi è un sogno. Ma c’è sogno e sogno. E’ un sogno perché ancora non esiste, ma è un sogno che indica quello di cui le masse popolari hanno bisogno nella realtà attuale, precorre il corso che le cose devono prendere se non vogliamo essere travolti dalla rovina del capitalismo, dalla sua crisi generale. Se noi comunisti riusciamo a ottenere che i lavoratori di alcune aziende assumono il ruolo che abbiamo illustrato, altre aziende seguirebbero: se non fossero trascinate dall’esempio, sarebbero spinte dall’attacco dei capitalisti.
Concretamente cosa significa realizzare il nostro sogno? Cosa significa in ogni azienda far vivere quei tre aspetti?
Significa che i lavoratori nelle varie aziende si organizzano, prendono in mano l’azienda: la “occupano” nel senso che assumono il compito di gestire loro la vita aziendale e produttiva secondo gli interessi dei lavoratori, oltre che delle masse popolari che vivono intorno all’azienda, “uscendo” quindi dall’azienda: questo dal punto di vista dei volumi produttivi, della salute, delle nocività ambientali, ecc. Un ruolo simile ai Consigli di Fabbrica degli anni ’70, ma portando quell’esperienza storica a un livello superiore, perché la crisi del capitalismo è generale e perché oggi c’è un partito comunista, il (nuovo)PCI con le organizzazioni che ne condividono la linea, che promuove il movimento. Infatti in questo processo è determinante il ruolo degli operai comunisti, quegli operai che hanno sviluppato la coscienza della necessità del cambiamento di tutta la società, che assumono il compito di condurre la classe operaia a conquistare il potere politico. La concezione comunista del mondo porta a comprendere che i padroni conducono una guerra che è complessiva, dettata dall’esigenza che hanno di far fronte alla crisi nella competizione internazionale, che non è semplicemente affare di questa o quell’azienda; che l’unico modo per non subire questa guerra è che gli operai prendano essi stessi in mano l’azienda, cioè prevengano le mosse del padrone, non aspettando (al modo dei sindacalisti di regime e anche di quelli alternativi, conflittuali, combattivi) che sia il padrone ad attaccare, stabilendo loro la direzione sui loro compagni di lavoro, stabilendo relazioni con gruppi, organismi e istituzioni per capire e definire quale può essere il ruolo specifico a cui la propria azienda è più adatta nell’ambito dell’economia del paese.
L’affermarsi di una simile concezione in un collettivo operaio permette di affrontare con nuovi strumenti e con prospettive di vittoria anche le manovre padronali per chiudere un’azienda. Facile nel caso dell’Alitalia immaginare lo schieramento di forze che un collettivo come quello sopra indicato avrebbe coalizzato attorno a sé e fatto crescere e rafforzare. Una simile organizzazione di fatto sarebbe già preparata a gestire autonomamente l’azienda e a inserirla in un percorso che è quello della trasformazione di tutta la società. D’altra parte non inserire una simile esperienza di organizzazione nella lotta complessiva per cambiare il paese sarebbe suicida: un simile atto di insubordinazione verrebbe represso duramente nel corso della guerra, con mezzi economici o di altro tipo, quanto necessario. La nascita e la vita di questi centri antagonisti e alternativi di potere, queste nuove autorità popolari, hanno senso e prospettiva di vittoria se contribuiscono alla costruzione delle condizioni per instaurare un governo d’emergenza popolare che faccia fronte agli effetti della crisi. Allo stesso modo lo sviluppo di un movimento che coscientemente lavora per creare un simile governo, creerà le nuove condizioni necessarie per assicurare il futuro di queste aziende e dei loro lavoratori.